editoriale di settembre ottobre

«Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». La lapidaria risposta di Gesú, ammutolendo gli avversari, smaschera il tentativo di irretirlo da parte di chi era convinto di averlo messo in difficoltà. Cosa sia ciò che è di Dio (e a lui vada reso) rimane domanda ineludibile per ogni aspirante cristiano. Questo l’interrogativo che ha spinto a confrontarsi i fondatori della nostra rivista e che ha poi unito, per quasi ottanta anni, galli e lettori nella convinzione che «la gloria di Dio è l’uomo vivente», come affermava Ireneo da Lione anteponendo alla dottrina le donne e gli uomini nel loro quotidiano.
La domanda su che cosa occorre rendere a Dio si fa piú drammatica oggi, quando il tumultuoso progresso scientifico e tecnologico pone di fronte a questioni impensabili fino a qualche decennio fa, e il logoramento dei tradizionali paradigmi patriarcali impedisce di cercarne supporto, rendendo difficoltoso l’orientamento nelle scelte personali dei singoli individui e in quelle collettive delle diverse società umane. Per decenni l’occidente, variamente pseudo-cristiano, si è crogiolato nella pace dei propri confini, esportando nel sud del mondo guerre e massacri, fonti di immensi costi umani e di innumerevoli profitti.
Mentre si allontanano dall’orizzonte politico gli impervi sentieri di pace e di giustizia, tutti i cristiani sono chiamati all’esercizio della misericordia: ma con quali risposte, ora che ai progressi nella medicina è mancato un corrispondente progresso nell’etica condivisa? E allora quando ci imbattiamo in quesiti angosciosi ci dobbiamo chiedere se sia rispettoso della misericordia di Dio:
– creare problemi anagrafici per i bambini nati dall’amore di coppie omosessuali, incolpevoli di essere venuti al mondo attraverso pratiche per alcuni riprovevoli, per altri addirittura necessarie;
– rifiutare il suicidio assistito a chi è condannato a una sofferenza senza speranza o a una vita senza consapevolezza dovuta a macchine extracorporee;
– negare l’aborto in casi particolarmente delicati (stupri, previsione di nascite con problemi tali da negare una vita autonoma);
– costringere qualcuno a vivere in un corpo non riconosciuto come proprio.
Definire e tutelare i diritti umani sono priorità per molte nazioni del pianeta i cui governanti si vantano di avere a cuore la salute, il lavoro, l’educazione, la sicurezza e la difesa dei loro popoli. Come ripetevano spesso Gino Strada e Lorenzo Milani, questi temi dovrebbero essere un compito condiviso da ciascuno, indipendentemente dalla appartenenza a un credo religioso o politico: altrimenti sarebbero privilegi per pochi e disagio per gli altri. In questa prospettiva e dialogo tra diverse culture lo spirito gallico si è sempre mosso, senza presumere di suggerire con la sfera di cristallo soluzioni semplici a problemi complessi.
Tuttavia la nostra esperienza conferma che predicare, ma non praticare; credere, ma non vivere in accordo con ciò che si crede, sono pericoli e ostacoli per un futuro libero dallo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e dell’uomo sulla natura. Agire in modo misericordioso e rendere gloria al mistero di Gesú e al profondo umano ci sembra la freccia del tempo da seguire.

i Galli