editoriale di novembre dicembre
E cosí termina la sua navigazione questo nostro «guscio di noce nel mare delle corazzate» – parole affettuose e consapevoli del suo ideatore Nando Fabro –: metafora delle potenti testate giornalistiche, ma fuori dalla metafora ancora minacciose nei nostri mari, da anni icona di troppe morti di bambini, donne e uomini alla ricerca di vita dignitosa. Quel regno di Dio di cui preghiamo la venuta è un mondo di giustizia e di pace, di solidarietà e di rispetto che cerchiamo con chi antepone il bene comune all’interesse privato, anche se non prega, ma condivide la «fede nella nostra Costituzione, che vogliamo nutrita di libertà e giustizia, fuor di tutti i settarismi e confessionalismi». Parole tratte dell’editoriale a firma Nando Fabro del giugno 1946, il mese delle prime elezioni libere e del primo voto alle donne, mentre la Costituzione era ancora solo una speranza.
E cosí il gallo non canterà piú da queste pagine che hanno sostenuto centinaia di lettori e collaboratori lungo otto decenni. In un ambiente quasi familiare, nella mitica sala di Galleria Mazzini, una serie di iniziative, a partire dalla lettura dell’evangelo senza la guida di un prete fin dagli anni quaranta, impegnava diversi giorni alla settimana. Ci siamo reciprocamente richiamati alla responsabilità di una presenza attiva nel nostro tempo, alla libertà non polemica nei confronti della chiesa; abbiamo goduto delle cose belle e ci siamo incoraggiati alla speranza fino all’utopia, consapevoli dei nostri limiti, oscurità, infedeltà. Questa è stata l’anima della rivista che, «senza necessità di platea» e senza «timore di trovarci soli», ha cercato di testimoniare anche all’esterno «solamente quello in cui crediamo», senza mai alcuna forma di retribuzione per nessuno: il lavoro spontaneo favorisce la libertà, pur ben convinti che ogni lavoro debba essere retribuito e mai sfruttato.
Con questo spirito, che ci piace chiamare gallico, ci siamo interrogati sui problemi che nel tempo si sono posti: la costruzione della libertà, nella società, nella politica e nella fabbrica, con gli strumenti adeguati; abbiamo sostenuto nella chiesa le iniziative che si radicano nel Concilio, attenti insieme alle diverse dimensioni della spiritualità ovunque si colgano, nei misteri degli esseri umani e della natura; leggendo nella poesia e nell’arte una dimensione alta che accomuna l’umanità. E questo spirito può permanere nell’affrontare le nuove domande che ci interpellano e non riguardano tanto la fedeltà alla chiesa, quanto i suoi stessi fondamenti – occorre riscoprire concetti come rivelazione, salvezza, presenza reale –, mentre la fedeltà alla costituzione è insidiata dalla crisi della democrazia occidentale, le armi sono ben altro che di difesa e l’intelligenza artificiale mette in discussione i confini dell’umano.
Chiudiamo con la frase finale dell’editoriale non firmato del primo quaderno (gennaio 1946):
questo foglio avrà assolto il suo compito se saprà rispondere alla precisa intenzione d’essere null’altro che una testimonianza della nostra ricerca e un punto di incontro per i pochi, o per i molti, che avvertono nell’animo le nostre medesime esigenze.
Forse anche questo seme, morendo, potrà dare buoni frutti (Gv 12, 24-26).
i Galli