1924, 1940, 1946 giugno

di Giancarlo Muià

Giacomo Matteotti pronunciò l’ultimo suo discorso in Parlamento il 30 maggio 1924. Il deputato, segretario del partito socialista, contestò la validità delle elezioni, tenutesi il 6 aprile dello stesso anno. Si erano infatti verificati numerosi episodi di violenza e la milizia fascista era stata minacciosamente presente nei seggi elettorali dopo che era stato praticamente impedito ai candidati avversari politici dei fascisti di tenere comizi.

Antonio Piccinini, di Reggio Emilia, rappresentante del partito socialista fu assassinato il 28 febbraio 1924, dopo aver accettato la candidatura per il partito nel quale militava. L’onorevole Matteotti, durante il suo discorso, citò il barbaro assassinio, onorando la memoria del Piccinini, facendo anche menzione di molte altre violenze e impedimenti, avvenuti in ogni regione d’Italia per opera delle milizie fasciste.

Un passo della parte finale dell’intervento di Matteotti:

 

Voi che oggi avete in mano il potere e la forza, voi che vantate la vostra potenza, dovreste meglio di tutti gli altri essere in grado di fare osservare la legge da parte di tutti. Voi dichiarate ogni giorno di volere ristabilire l’autorità dello Stato e della legge. Fatelo, se siete ancora in tempo; altrimenti voi sí, veramente rovinate quella che è l’intima essenza, la ragione morale della Nazione. Non continuate piú oltre a tenere la Nazione divisa in padroni e sudditi, poiché questo sistema certamente provoca la licenza e la rivolta. Se invece la libertà è data, ci possono essere errori, eccessi momentanei, ma il popolo italiano, come ogni altro, ha dimostrato di saperseli correggere da sé medesimo. Noi deploriamo invece che si voglia dimostrare che solo il nostro popolo nel mondo non sa reggersi da sé e deve essere governato con la forza. Molto danno avevano fatto le dominazioni straniere. Ma il nostro popolo stava risollevandosi ed educandosi, anche con l’opera nostra. Voi volete ricacciarci indietro. Noi difendiamo la libera sovranità del popolo italiano al quale mandiamo il piú alto saluto e crediamo di rivendicarne la dignità, domandando il rinvio delle elezioni inficiate dalla violenza alla Giunta delle elezioni.

 

Il pomeriggio del 10 giugno dello stesso 1924, Matteotti venne rapito da cinque squadristi. Il suo corpo senza vita fu rinvenuto qualche mese dopo. A quel 10 giugno seguí il ritiro sull’Aventino di una parte dei parlamentari dell’opposizione, la fine della dinamica parlamentare e l’inizio del regime totalitario. Il potere fascista non aveva piú nulla da temere. Il 3 gennaio 1925, Benito Mussolini, disse alla Camera dei deputati:

 

Ebbene, dichiaro qui, al cospetto di questa Assemblea e al cospetto di tutto il popolo italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto.

 

Ma neppure dopo questa pubblica, e solo retorica, ammissione di responsabilità la magistratura ritenne di formalizzare un’accusa formale nei confronti di quello che era ormai riconosciuto Duce. Sedici anni dopo, ancora il 10 giugno, «nell’ora delle decisioni irrevocabili», Mussolini annuncia, dal balcone di palazzo Venezia affacciato sulla piazza in tripiudio, l’entrata in guerra dell’Italia contro «le democrazie plutocratiche e reazionarie» Francia e Inghilterra, convinto che gli sarebbero bastate poche decine di morti per sedere al tavolo dei vincitori. La guerra iniziata quel giorno di giugno costò all’Italia mezzo milione di morti e la distruzione delle infrastrutture civili e industriali.

La libertà sarà recuperata solo dopo l’intervento angloamericano e la lotta di liberazione il 25 aprile 1945 e il 2 giugno 1946 agli italiani fu restituita la possibilità di esprimersi con il voto; per le italiane si trattava della prima volta nella storia. Due le schede: una per la scelta tra la repubblica e la monarchia; l’altra per l’elezione dell’Assemblea costituente. E il 2 giugno viene considerato la data di fondazione della Repubblica italiana.

Il successivo 25 giugno si insedia l’Assemblea costituente, alla presidenza della quale è nominato il socialista Giuseppe Saragat che negli anni 1964-71 sarà presidente della Repubblica.

Un breve passo del discorso di insediamento, pronunciato da Saragat il 26 giugno, in cui ricorda Matteotti e Turati, suoi compagni di partito.

 

Il 2 giugno è stato il grande giorno del nostro destino […] A voi tocca dare un volto alla Repubblica, un’anima alla democrazia, una voce eloquente alla libertà. Dietro a voi sono le sofferenze di milioni di italiani; dinanzi a voi le speranze di tutta la Nazione. Fate che il volto di questa Repubblica sia un volto umano. Ricordatevi che la democrazia non è soltanto un rapporto fra maggioranza e minoranza [...] ma è soprattutto un problema di rapporti fra uomo e uomo. Dove questi rapporti sono umani, la democrazia esiste; dove sono inumani, essa non è che la maschera di una nuova tirannide. Ecco perché, oltre che sulla struttura politica dello Stato repubblicano, voi vi piegherete sulla struttura sociale del Paese. Nel grande moto che spinge le classi diseredate a rivendicare un destino meno iniquo, voi non vedrete una minaccia per la libertà, ma, al contrario, la forza motrice del progresso, solo che venga disciplinato dalla saggezza dei legislatori e non venga ostacolato dall’egoismo dei ceti privilegiati.

 

«Fate che il volto di questa Repubblica sia un volto umano»: un programma politico ancora in gran parte da compiere, come i nostri tempi continuano a dimostrare.