2020 maggio
«La tempesta di questo momento smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. [...] Avidi di guadagno, ci siamo lasciati assorbire dalle cose e frastornare dalla fretta. Non ci siamo fermati davanti ai tuoi richiami, non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri e del nostro pianeta gravemente ammalato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato». Da scolpire profondamente nella mente le parole pronunciate al tramonto di venerdí 27 marzo da papa Francesco nella quasi solitaria preghiera in una piazza san Pietro deserta e gocciolante davanti al crocifisso miracoloso di san Marcello e all’icona della Salus populi romani. Ci richiamano infatti drammaticamente a quella conversione degli stili di vita che tanti profeti, troppo inascoltati, da Primo Mazzolari a Zeno Saltini e Lorenzo Milani, ad Arturo Paoli e Alex Zanotelli (per non citare che alcuni italiani), ci hanno da tempo sollecitato con urgenza e talvolta con rudezza, ma solo inducendo qualche commozione che non scalfisce il nostro benessere troppo spesso egoista e non si è realizzato il monito di Zanotelli: «i poveri non vi lasceranno dormire». Ci siamo limitati a cercare di tenerli lontano dalle nostre città, magari pagando dittatori crudeli che facessero per noi il lavoro sporco di contenimento dei profughi. Cambiare lo stile di vita a cui siamo abituati costa: l’abbiamo sperimentato in queste settimane costretti da un virus che uccide e spaventa a rimanere in casa rinunciando o rinviando care abitudini di cui pensavamo di non poter fare a meno, dal lavoro agli incontri con gli amici, allo sport, agli spettacoli, agli svaghi. Oggi molti si affannano a dire che dopo questa inedita estrema esperienza tutto cambierà e non potremo tornare alle vecchie abitudini. Forse, invece, una volta passata la tempesta, cercheremo di far tornare tutto come era. Ora, siccome siamo noi nella difficoltà, nella paura e nella sofferenza ci appelliamo alla solidarietà, giustamente convinti che nessuno si salva da solo. Ma abbiamo imparato anche a offrirla agli altri? Il Portogallo – soltanto perché una piccola nazione? – regolarizza tutti i richiedenti asilo perché possano essere riconosciuti ed eventualmente curati per contenere il contagio: la giustizia porta beneficio a tutti. «É stata un gran flagello questa peste; ma è anche stata una scopa; ha spazzato via certi soggetti, che, figliuoli miei, non ce ne liberavamo piú [...] E in un batter d’occhio, sono spariti, a cento per volta». Cosí don Abbondio. Meno tragicamente, vorremmo esserci lasciata alle spalle la politica fatta di spot, comunicazioni a slogan immediate e non meditate, rivolte all’istinto e non alla ragione, per creare paura, additare nemici sui quali dirottare ansie e preoccupazioni. La solidità e la sicurezza di un paese si costruiscono studiando i problemi con competenza e partecipazione non restringendo le libertà e cercando consensi con notizie false e promesse irresponsabili. Chi governa saprà, dopo questa sconvolgente esperienza, impegnarsi in una gestione lungimirante della cosa pubblica alla ricerca del bene di tutti nella libertà, nel welfare, nella solidarietà e l’opposizione saprà rinunciare al proprio propagandistico tornaconto?