L’utopia nel Rinascimento

di Luisa Riva

 

Nel dicembre del 1516 viene pubblicata in latino, a Lovanio, Utopia di Tommaso Moro. In breve tempo seguirono numerose traduzioni nelle lingue volgari, segno evidente del successo che l’opera ebbe fin dal suo esordio. Il cinquecentesimo anniversario della pubblicazione ci offre l’occasione per riscoprire l’originalità del pensiero di Moro, ma anche per proporre una riflessione piú ampia circa il manifestarsi dell’utopia nella storia.

 

Una critica alla società del tempo

 

Il testo è strutturato in due parti. Nel primo libro, l’autore racconta dell’incontro avvenuto ad Anversa con Raffaele Itlodeo, un viaggiatore che aveva visitato una terra particolarmente interessante: Utopia. La descrizione degli usi, dei costumi e delle leggi di questa terra viene affrontata nel dettaglio nel secondo libro. Il primo presenta, invece, il resoconto della conversazione avvenuta fra Itlodeo, Moro e altri ospiti a una cena circa la cosa pubblica e la situazione inglese del tempo. In questa parte del testo emerge chiarissima la critica sociale che Moro vuol esprimere attraverso l’artificio letterario del racconto di un viaggiatore che, grazie agli incontri con popoli diversi, mette in luce contraddizioni e limiti della sua società.

Per esempio: l’ingiusto sistema giudiziario che punisce duramente anche i reati minori determinati dalla miseria, l’ingiustizia della pena di morte, le crudeltà commesse dai soldati («i briganti non sono che buoni soldati e i buoni soldati null’altro che bravi briganti, tanto sono simili»), le violenze compiute da nobili, perfino abati, nei confronti dei contadini per costringerli a vendere le loro piccole proprietà. Cosí realizzeranno grandi profitti adibendo le terre a pascolo per produrre lana: il riferimento è chiaramente al fenomeno delle enclosures (recinzioni) che si affermava in quegli anni in Inghilterra e che impediva a chi non possedeva terra di far pascolare le proprie bestie.

Ancora: il controllo dei giudici da parte del sovrano, l’ipocrisia delle corti. Non dobbiamo dimenticare che Moro era avvocato e per molti anni aveva assunto importanti cariche pubbliche, conosceva perciò la realtà di potere del suo tempo. La rottura del suo rapporto con il re Enrico VIII avverrà nel momento in cui si rifiuterà di riconoscere la supremazia della chiesa anglicana su quella di Roma, dunque del re nei confronti del papa. Per questo verrà condannato a morte nel 1535. Tornando al testo, vediamo la forte sensibilità dell’autore per il tema della giustizia sociale che lega al bene stesso dello stato.

«Per quel che riguarda il rapporto fra miseria e sicurezza, poi, direi che chi identifica la pace con la povertà della gente è proprio fuori strada: chi, infatti, s’azzuffa piú dei mendicanti? Chi desidera mutamenti piú ardentemente di quelli insoddisfatti della vita che stanno conducendo? Chi, infine, è piú disposto a ribaltare tutto (sperando d’averne qualche vantaggio) di quelli che non hanno nulla da perdere?» (Utopia, I libro).

Potremmo aggiungere a 500 anni di distanza: chi non sente in queste parole l’eco della nostra attualità?

 

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