Per il testamento biologico

di Silvano Fiorato

 

Il nostro Codice deontologico stabilisce almeno alcune basi fondamentali di un corretto comportamento: astenersi da intraprendere né insistere in procedure diagnostiche o terapeutiche clinicamente inappropriate ed eticamente «non proporzionate» (articolo 16) come potrebbe verificarsi nell’ostinazione terapeutica; comunque si specifica il divieto di effettuare o favorire, anche su richiesta del paziente, «atti finalizzati a provocarne la morte». In questo articolo non viene peraltro fatto cenno alla sospensione dei trattamenti negli stati terminali irreversibili con gravi e irriducibili sofferenze, come già spesso accade. Successivamente l’articolo 38, riguardante le dichiarazioni anticipate di trattamento – al momento solo private e informali –, invita il medico a tenerne conto, ispirando comunque la propria condotta «al rispetto della dignità e della qualità della vita del paziente», e verificando «la loro congruenza logica e clinica».
Soprattutto il successivo articolo 39 torna sull’argomento del fine vita con una dichiarazione piú esplicita: «Il medico non abbandona il paziente con prognosi infausta o con definitiva compromissione dello stato di coscienza, ma continua ad assisterlo e, se in condizioni terminali, impronta la propria opera alla sedazione del dolore e al sollievo delle sofferenze tutelando la volontà, la dignità e la qualità della vita»; e conclude: «Attuando trattamenti di sostegno delle funzioni vitali finché ritenuti proporzionati, tenendo conto delle dichiarazioni anticipate di trattamento». Sono norme già praticamente acquisite, ma con divieto del cosiddetto suicidio assistito.
A questo proposito l’opinione pubblica è divisa: secondo l’Eurispes il 64,6 per cento degli italiani è favorevole all’eutanasia e il 77 per cento vuole dettare un testamento biologico; è comunque diffusa la richiesta pressante di una legge nel merito, che la commissione parlamentare non riesce a formulare, nonostante le sollecitazioni provenienti persino dal Presidente della Repubblica e dal Consiglio d’Europa.
Come è noto la difficoltà proviene da posizioni ideologiche contrastanti circa il valore della vita in sé, indipendentemente dalla sua qualità, e circa la liceità di disporre della nostra stessa vita; quindi la domanda che tutti ci poniamo è se esista un limite, sia pur estremo, al nostro aiuto agli altri e fino a che punto sarebbe lecito deciderlo da parte nostra anche in contrasto con un testamento biologico. La difficile risposta, finché manca la legge, tocca a ciascuno di noi.