Misericordia e non sacrifici

di Mauro Felizietti

A qualche mese dalla chiusura del Giubileo straordinario della misericordia, indetto da papa Francesco (8 dicembre 2015 – 20 novembre 2016), è opportuno interrogarsi su quanto l’evento sia riuscito a incidere nella nostra coscienza di cristiani e nella prassi della Chiesa. La tendenza a non verificare la ricezione di messaggi, proposte e programmi è tipica del mondo della politica, ma anche la Chiesa non ne è esente: si mette tutto alle spalle nell’attesa di altre novità o manifestazioni, trascurando in tal modo che anche Gesú, nella celebre parabola del seminatore, richiama l’importanza dei terreni nell’accogliere e favorire o meno lo sviluppo della Parola di Dio.
Il Giubileo ha ribadito che la misericordia non è un optional, magari lodevole, nella vita del cristiano, ma elemento essenziale per riconoscersi di Cristo e membri della Chiesa. Come bene presentata nella parabola nota come del buon samaritano (Lc 10, 25-37), la misericordia costituisce la natura intima di Dio Padre. Gesú invita a essere compassionevoli e misericordiosi come il Padre: Dio è amore, la misericordia è l’espressione  concreta di questo amore. L’annuncio di Cristo ha trovato una ferma opposizione da parte dei fedeli osservanti della Legge, convinti che solo la scrupolosa e maniacale pratica dei precetti poteva regolare in modo preciso il rapporto con Dio. Gesú, richiamandosi all’esperienza del profeta Osea,
rivela la volontà del Padre: «Misericordia voglio e non sacrifici». La grande novità è che il profeta sconvolge l’ordine della tradizione religiosa: peccato-conversione-perdono, affermando che il perdono precede la conversione; Dio perdona prima che il popolo si converta. Gesú, riprendendo il profeta Osea, dichiara che il vero culto da rendere a Dio non consiste nell’offrire sacrifici dettagliatamente previsti dalla religione, ma nell’estendere la misericordia di Dio al prossimo.

 

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