Eucarestia

di abbé Louis Evely, da Il Gallo 25 settembre 1956

 

Piú noi riceviamo, piú dobbiamo rendere. E piú rendiamo, piú ci sarà dato e piú dovremo continuare a ri-donare. È una catena che non ha fine, o meglio un gioco ininterrotto in cui il solo sbaglio grave è di tenersi il pallone. […] Questo moto di eucarestia, di passaggio, è l’atto in sé piú gioioso del mondo. Ci fa conformi alla nostra vera natura. […]
Pregare è imparare a respirare, a percepire il Soffio e, avendolo ricevuto, a renderlo con il medesimo slancio di gioia che ci aveva sollevati per questa aspirazione di tutto il nostro essere. Aspirare – poi espirare, come Gesú ha espirato sulla croce – ridonarsi. Rimettersi. […]
Le nostre eucarestie sono, purtroppo, dei simulacri, molto sovente, cosí come i nostri pentimenti e le nostre comunioni. Da ciò proviene che la maggior parte delle nostre messe sono qualche cosa di tanto congelato. Si fa finta di celebrare la pasqua dinnanzi a persone che fanno finta di aderirvi. Qualche volta si è tentati, prima di cominciare, di dire alla gente: Ci tenete davvero? Non preferite di rimandare questa finzione a un’altra volta? che si aspetti un poco… che voi ci crediate? Che voi abbiate cessato di vedervi una formalità o un gesto in cui si approfitta del sacrificio di un Altro per dispensarci di farne uno noi stessi? […]
La messa è un passaggio (una pasqua): si dovrebbe dire, andandoci: – L’ora è venuta. L’ora di passare da questo mondo al Padre! – è cosí che ha esordito la prima messa: «Gesú, sapendo che la Sua ora era giunta di passare da questo mondo al Padre… e che era uscito da Dio e ritornava a Dio…». Le nostre messe sono esse dei grandi ritorni?