2017 maggio

È trascorso da qualche settimana il quarto anniversario dell’elezione a vescovo di Roma – vescovo, quindi, prima che pontefice – di Jorge Mario Bergoglio e allo stupore per l’inatteso annuncio di quel 13 marzo, per la scelta del nome e per il primo saluto in quel tramonto romano di tardo inverno sono seguiti quattro anni di stupore evangelico. Diciamo con franchezza che una ventata innovatrice non ce la saremmo aspettata da un papa.

Dopo quattro anni Francesco è riconosciuto anche dai laici fra le persone piú apprezzate e influenti, «il dono piú prezioso che la Chiesa cattolica romana ci abbia offerto in questa società alla deriva, senza uno scopo e senza fiducia» (Zygmunt Bauman), ma al di là degli entusiasmi, delle piazze piene, degli Angelus planetari, perfino delle frequentazioni nella rete, resta l’impressione che nella sua chiesa lo spirito tridentino sia ancora ampiamente dominante. Ma le trasformazioni lente sono piú durevoli e l’essenziale è non tornare indietro, neppure quando sarà l’ora della successione.

Non siamo i chierichetti di Francesco e non abbiamo mai ritenuto indiscutibile l’assenso al papa, chiunque sia. Ma apprezziamo e sosteniamo la maggiore libertà di espressione nella chiesa, la circolazione di misericordia, l’impegno sociale come attenzione alla persona e all’ambiente, stretti però fra chi ritiene che manchi a Francesco il coraggio del radicalismo e della revisione dottrinale e gli rimprovera una incoerenza con i suoi stessi annunci e chi, spesso con linguaggio rancoroso e informazioni non corrette, considera la libertà apertura al relativismo, la misericordia tolleranza o forse invito alla trasgressione, l’impegno sociale materia politica estranea al kerigma della proclamazione della verità di fede.

Ci pare di averlo detto e scritto lungo i decenni della nostra storia, ma forse anche noi piú nelle dissertazioni che nella prassi quotidiana, nelle scelte professionali e politiche: il cristianesimo non può essere ridotto a dottrina, morale e culto: è libertà, solidarietà, gioia in una inarrestabile ricerca che non può essere esente da errori. È impegno con le persone, è accoglienza e perdono, fiducia e consapevolezza dei limiti, è pagare per un ferito, porgere un bicchiere d’acqua, abbracciare chi si è comportato male con noi. C’è chi condivide e si ripropone questi gesti, riuscendo solo qualche volta a viverli e chi continua a pensare che siano piú importanti dottrina e culto, principi non negoziabili e sacri paramenti e che la partecipazione alla cena del Signore sia riservata a chi si sente senza colpa.

Francesco interpella su questi problemi: a noi la ricerca di pensieri e comportamenti coerenti. Senza perdere di vista che la ricerca su queste questioni non può limitarsi a consensi e dissensi formulati sui nostri parametri, sulla ragione politica, sulle prassi consolidate nei secoli: occorre avere sempre come riferimento lo spirito dell’evangelo. Quello, considerato con cuore limpido, il termine di paragone con cui confrontare il nostro punto di vista come l’insegnamento del vescovo e anche del papa.