Troverà ancora la fede?

di Ugo Basso

 

Ci sono espressioni caratteristiche della Scrittura che frequentiamo tanto citate quanto disattese. Per esempio: «se il chicco di grano, caduto in terra, non muore rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Giovanni 12, 24) e «l’uomo vecchio che è in noi è stato crocifisso con il Cristo » (Romani 6, 6). Non sono, non dovrebbero essere, modi di dire, ma indicatori di atteggiamenti esistenziali: almeno dovrebbero esprimere la disponibilità al rinnovamento, all’accettare che quello che funzionava ieri potrebbe non funzionare domani. Convertirsi – e Gesú richiama ciascuno a conversione incessante – chiede impegnativi ripensamenti, abbandono di sicurezze, talvolta destabilizzante.

 

Se il chicco di grano non muore

Ripenso al processo in cui era imputato Galileo Galilei e mi rendo ben conto dello sconcerto dei dotti ecclesiastici che dopo essersi sempre ritenuti al centro dell’universo, sul pianeta in cui si è incarnato Cristo, non riescono ad accettare neppure quello che i loro occhi osservano con evidenza. L’uomo di fede sa cogliere la novità e la verità, mentre i giudici ecclesiastici emettono sentenze non in nome della verità, ma in ossequio del proprio idolo.
Già oltre cinquant’anni fa Giovanni XXIII aveva aperto all’aggiornamento con la citatissima affermazione «non è il vangelo che cambia, siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio», il nucleo ispiratore del Vaticano secondo. In questa prospettiva, ripresa e incoraggiata da papa Francesco, vorrei avviare un discorso chiedendo a me e a chi oggi crede di credere – con le parole di Luigi Bettazzi – che cosa davvero significhino concetti fondamentali, come credere, appunto, o rivelazione, tradizione, salvezza, resurrezione della carne, chiesa, sacramenti per fare qualche esempio, e anche termini come sacerdote e altare, fra i piú ricorrenti nel nostro lessico religioso, ma presenti nella Scrittura cristiana solo riferiti al mondo pagano o veterotestamentario. Occorre anche chiederci quale idea abbiamo di Dio, considerato che la stessa idea di Dio muta nella Bibbia e nei secoli successivi e il rischio di credere in un idolo, un dio costruito dalle nostre categorie psicologiche e culturali, è sempre primo peccato. Insieme mi piacerebbe immaginare quali potrebbero essere le categorie di una inculturazione della Parola che non passa nella società di oggi e di domani: partendo da che cosa si può fare oggi nella nostra chiesa piú coinvolgente e accogliente, fino a ipotizzare un’incarnazione oltre le religioni, come pare suggerire per esempio Raimon Panikkar. Consapevole, per dirla con il poeta, che «persistenza è solo l’estinzione» (Eugenio Montale, Piccolo testamento).

 

Continua sul Gallo stampato… e nel seguito:

  • Prendere atto della realtà
  • Una diversa presenza della chiesa
  • Ansia desiderio responsabilità
  • La Parola che non passa
  • La Tradizione