La medicina per la persona – 1

di Luisella Battaglia

 

Il medico incline alla saggezza è simile a un dio.
Ippocrate

La medicina scientifica ha compiuto straordinari progressi: tecniche sempre piú sofisticate consentono al malato di vedersi su un monitor in tre dimensioni, il medico lo può curare a distanza grazie alla telemedicina, il chirurgo può operare senza toccare direttamente il malato. Progressi innegabili che celano tuttavia un pericolo, quello di vedere l’individuo oltrepassato dal sovra-individuale, ignorato nella sua singolarità dalle esigenze classificatorie.

 

L’accompagnamento individuale del malato

Che resta allora della relazione originaria, di quel colloquio descritto fin dall’antichità da Ippocrate e dai suoi discepoli dell’isola di Kos? Il malato è solo un caso? Sarà curato secondo le norme ottenute attraverso la somma di casi comparabili? Le conferenze di consenso rappresentano, lo sappiamo, un tentativo di universalizzazione delle conoscenze mediche al fine di una cura sempre piú efficace. Un’impresa di grande rilievo, ma – e qui si ripropone la domanda – quanto compatibile con quell’ideale medico ippocratico dell’accompagnamento individuale e individuato di ogni malato, con la relazione definita come colloquio singolare? Il medico e filosofo Georges Canguilhem (1904-1995) ci ricorda che la definizione della malattia richiede, come punto di partenza, la nozione di essere individuale. Si tratta di un’affermazione ancora valida? Qual è il posto del malato nella malattia, in una medicina sempre piú spinta verso l’universalizzazione e chiamata a divenire una scienza dell’oggetto umano?
In Nascita della clinica Michel Foucault (1926-1984) tratteggia magistralmente il cammino compiuto dalla medicina moderna, dalla metà del XVIII secolo, concentrandosi sul momento – la rivoluzione francese – in cui essa si distacca dalla metafisica: si sviluppa lo «sguardo clinico» e l’ospedale, inteso come «cittadella fortificata della salute», consente di collocare il fatto patologico in una serie, permettendone la classificazione.1   Lo sguardo clinico perfetto, che appare come lo sforzo della razionalizzazione di un’intuizione, corrisponde per Foucault al sogno di una struttura aritmetica del linguaggio medico legato al mito di un sapere oggettivo che vuole liberarsi da una soggettività – quella appunto del colloquio singolare tra due esseri umani – ritenuta nociva alla conoscenza. Si intende pertanto studiare direttamente quel corpo umano che diviene a tutti gli effetti l’oggetto del sapere medico.
In tal modo viene messo in evidenza quello che può considerarsi lo statuto epistemologico della medicina moderna: l’affermazione di una verità come adeguazione (vedere/sapere) che costituirà il fondamento del cosiddetto paradigma biologico. Con esso ci si propone di costituire un sapere oggettivo del corpo nel quadro di una medicina intesa come scienza esatta: una visione ancora pesantemente positivistica, secondo la quale non vi sarebbe sapere medico senza l’oggettivazione della malattia e del malato. Ciò che conta è la precisione matematica dei dati di laboratorio, piuttosto che l’intuizione e l’interpretazione dei segni clinici, perché intuizione e interpretazione appartengono al campo delle informazioni che vengono ritenute aleatorie e inattendibili.

______________________________

1 M. Foucault, La nascita della clinica, Einaudi 1969.

 

 Continua sul Gallo stampato… e nel seguito:

  • Domande per il giovane medico
  • Il guaritore ferito
  • La malattia è il paziente stesso
  • Il patto di cura