2017 settembre

Come seguaci di quel Gesú che ci ha indicato la via dell’amore per collaborare all’edificazione del suo regno già nel nostro mondo, siamo chiamati al perdono, alla tolleranza, alla non violenza, alla comprensione delle fragilità nostre e altrui, a non giudicare. Però è anche vero che sono circa duemila anni che la nostra civiltà occidentale si interroga su questa Parola, nel nome della quale è stato detto e fatto immenso bene e tragico incredibile male. Una questione purtroppo caratteristica del nostro presente, sulla quale siamo interpellati come cristiani è l’estensione della criminalità e della corruzione.

Ci pare che questa tendenza malsana non risparmi neppure ambienti religiosi e della nuova-sinistra: la perdita di fiducia nell’avvento del regno dei cieli e del socialismo sembra abbia indotto a una sorta di clemenza verso il crimine: nessuna misericordia, nessun perdono possono diventare connivenza con il crimine. Forse si vorrebbe che nel Paese piú cristiano del mondo – sarà poi vero? – una popolazione sempre piú consapevole di essere stata ingannata e derubata debba perdonare e confermare al potere una classe politica inadeguata e corrotta? Sentiamo un primo tentativo di risposta nell’impegno di papa Francesco a studiare una forma di scomunica per i corrotti. La parola comunque non ci piace: ma, pur desiderando essere inclusivi, occorre far sapere che la chiesa non copre reati di questa natura, cosí lesivi dell’interesse di tutti, e chi ne è responsabile non può considerarsi membro di questa chiesa.

Riprendiamo le considerazioni sul perdono: la gratuità del perdono comporta almeno la rinuncia a reiterare l’opera per cui viene concesso: al contrario della vendetta, guarda all’umanità da salvare, è incoraggiamento alla ripresa, fiducia che si può cambiare strada e ricominciare, ma non può avere nulla da spartire con la legittimazione del crimine né con una sua tacita accettazione, come se non potesse essere altrimenti. E il perdono non può neppure essere recepito come una sorta di tolleranza all’allargamento della criminalità la quale declassa gli standard di civiltà in essere. A chi può giovare un modello sociale impoverito, come se decenni di impegno per realizzare una società migliore fossero inghiottiti da famelici parassiti solo interessati a riempirsi le tasche?

Per chi si considera cristiano la criminalità diffusa è o non è un problema? A volte si ha l’impressione che gli sforzi condotti dalla magistratura e forze dell’ordine siano, al di là delle dichiarazioni formali, sottovalutati e ridimensionati dalla classe politica e perfino da religiosi: dall’evasione fiscale alla corruzione nei diversi ambiti. Il cristiano considera proprio dovere esporsi in prima persona contro il crimine anche nella forma della corruzione? E se la corruzione e il crimine, diciamo di stampo mafioso, si infiltra nelle istituzioni e a governare fossero malavitosi abilmente mascherati?

La gran parte di quella che chiamiamo gente ha lavorato, educato figli, forse si è impegnata quando ha potuto, ma certamente non ha percepito lauti e immeritati stipendi e vitalizi: non possiamo accontentarci dei proclami, fatti dai grandi o piccoli spalti, per rassicurarci né nelle chiese né nelle sedi di partito. Come cittadini, anche cristiani, non abbiamo paura della legalità e delle pene per chi non rispetta la legge ed è da respingere la richiesta di un buonismo che altro non è che una sfacciata auto-candidatura a continuare a percepire denari dalle tasse dei cittadini.