Marta e Maria (Luca 10, 38-42)
di Carlo e Luciana Carozzo
Bisogna ritornare alla fine del precedente capitolo 9 per situare questo episodio. Gesú e i discepoli, incamminati verso Gerusalemme, attraversano un villaggio della Samaria da dove sono rifiutati. Ora entrano in un altro villaggio e una donna di nome Marta li accoglie. Marta è la maggiore rispetto alla sorella Maria, perciò è padrona di casa.
Marta, probabilmente è figura di un certo Israele che osserva 613 precetti per prepararsi all’incontro con il Signore, ma non si accorge che è arrivato. Maria è l’Israele che conosce e vive la visita del suo Signore e, come Maria di Nazareth, ne accoglie la parola.
L’ascolto ricorda il ministero della parola e il servire rimanda ai compiti diaconali e viene spontaneo accostare questo racconto al dibattito attuale sul ministero delle donne nella chiesa anche se la parabola parla piú di atteggiamento di fede che di ministeri, ma lasciamo la porta aperta allo Spirito.
Rispetto al contesto del racconto e a proposito dei ruoli, il biblista evangelico Francois Bovon (1938-2013), uno dei maggiori conoscitori contemporanei del Nuovo Testamento, precisa che si fa fatica a vedere nel giudaismo una donna amministrare i propri beni, dirigere la sua casa e, soprattutto, accogliervi un uomo.
Luca immagina un Gesú del suo tempo – come negli Atti Lidia offre ospitalità a Paolo, anche Marta accoglie Gesú sotto il suo tetto – e sembra ambientare il contesto in una cultura cristiano-ellenista.
Per inquadrare ancora meglio il racconto, dobbiamo ricordare quello precedente: con la parabola del samaritano Luca esemplifica l’amore per il prossimo; con Marta e Maria racconta emblematicamente l’amore per Dio.
I due diversi aspetti dell’amore sono due facce della stessa medaglia, non c’è l’una senza l’altra e in ultima analisi si tratta di un unico amore.
Per far risaltare meglio «la cosa piú importante», Luca estremizza i due atteggiamenti delle sorelle, li mette a confronto per poter asserire che Maria «ha scelto la parte migliore».
L’evangelista descrive Maria nell’atteggiamento del discepolo, seduta ai piedi del maestro, con tutto il suo essere ascolta Gesú che commenta la parola di Dio: Maria è una presenza attenta e amorevole, concentrata sull’essenziale.
Marta viene presentata come iperattiva, assorbita da molteplici compiti, inghiottita da numerosi doveri domestici; si sente in dovere di mettere a suo agio l’ospite importante. L’eccesso di attività, comprensibile ma sproporzionata, impedisce a Marta di vivere l’essenziale del momento presente. La sua preoccupazione è legittima, ma forse c’è in lei ansia e agitazione, in contraddizione con l’accoglienza, fatta di sorriso, accompagnamento, ascolto.
Marta, che concepisce la sua attività come un servizio si è sentita sola, abbandonata dalla sorella, per questo va dal Signore a lamentarsi anche dell’indifferenza dello stesso Gesú. Gesú invita affettuosamente alla riflessione come sta a indicare il raddoppio del vocativo: «Marta, Marta», ti crei preoccupazioni e ti agiti.
Preoccupazione, ansia, angoscia sono il pane quotidiano della maggior parte dell’umanità. Su questo significato greco, profano, si innesta un senso teologico: le preoccupazioni, in quello che hanno di opprimente, non sono certo miracolosamente eliminate dalla fede, ma possono essere riposte in Dio. A far male sono le preoccupazioni per una autorealizzazione attraverso le proprie opere, mentre è Dio con il suo amore la ragion d’essere. È vero: la qualità del servizio viene dal di dentro. E il servizio senza amore è solo umiliazione.
Senza l’amore di chi lo fa, anche il servizio è solo frustrazione. Senza l’amore di chi lo riceve il servizio è solo sfruttamento e sopraffazione.
La sola cosa necessaria, quella che conta, sarebbe la fede, la cura del Signore, l’attenzione rivolta all’essenziale che trasformano in sguardi d’amore le preoccupazioni di questo mondo. Necessario non è solo essere ascoltati e riconosciuti, ma essere amati senza condizioni, gratuitamente, come fa Dio.
Gli intenti di Luca per la sua comunità non sembrano quelli di affidare ministeri di predicazione o diaconato alle donne. Con l’immagine di Maria l’evangelista accorda un posto alle donne nella comunità, cosa che poche religioni antiche offrivano. Con l’immagine di Marta afferma che non ogni diaconia della tavola è conveniente. Certo, questo servizio è indispensabile, ma non va separato dalla fede.
Evidentemente era un problema, allora come lo è oggi, mantenere l’attenzione allo spirito, all’atteggiamento interiore. Non è questione di comportarsi bene, ma di sentirsi amati da Dio.
I gesti d’amore vengono dal sentirsi amati. Una sola è la cosa importante: l’amore di Dio. Da lí scaturisce il fare che fa il regno di Dio, il fare che non aspetta contropartita, il fare che non è un ricatto. Maria è l’immagine di chi ha trovato il suo tesoro e lí sta anche il suo cuore. Maria tace, è puro silenzio, nel quale la parola può penetrare e diventare feconda.