Humilitas e terrenità

di Giampiero Bof

L’origine di umiltà da humus è profondamente suggestiva. La Bibbia dice che Dio creò il mondo con la parola; ma non Adamo, originato dal fango (aphar), plasmato (jasar: l’operare del vasaio) da Dio, che ha compiuto l’opera mediante l’insufflazione dello spirito nel modellato. Per questo egli si chiamerà Adamo, dalla adamah (terra rossa): terragno.
Anche gli animali vengono plasmati, ma senza spirito; che dovrà invece essere riconosciuto nella donna (hisha, da hish, uomo), plasmata dalla costola di Adamo: l’uomo riconoscerà e affermerà questa originaria differenza di Eva, come somiglianza con lui, carne della sua carne; rapporto che non si istituisce con gli animali, ai quali Adamo imporrà il nome.
Umile dice dunque l’uomo contesto nel e dal mondo, costitutivamente radicato nel mondo, quale condizione del suo esistere, ancor bisognoso di un complemento: Eva che, tratta da lui, ne rappresenta una sorta di prolungamento, nell’atto stesso in cui istituisce la differenza della complementarità, e la genuina alterità: la diversità aperta e destinata all’intimità piú profonda.
Uomo e donna realizzano la pienezza del disegno di Dio circa l’umanità: l’umiltà – il carattere terragno – è ciò per cui l’essere umano trova la propria realizzazione nel mondo, in relazione con una sua simile, che si stringe a lui introducendosi nella sua relazione con Dio, della quale anche l’altra, Eva, diviene soggetto, e cosí complicandola. Il progetto di Dio non ha termine nell’uomo isolato, individuo, ma nella coppia feconda: crescete e moltiplicatevi: la pienezza dell’umanità viene in atto nella comunità umana.
L’umiltà, alla radice di questo progetto, non è una semplice virtú, non è prioritariamente una forma di comportamento, ma esprime una struttura fondamentale, che è essere originariamente nel mondo, in relazione: non saremo sorpresi, quando ascolteremo della profondità trinitaria di Dio in termini di relazioni sussistenti.
Il vigore di queste relazioni – numerose, intrecciate, complesse – non va esente dalla pesantezza e dall’inerzia che è pur ascrivibile alla polvere della terra. Emblematicamente, la restituzione della donna alla pari responsabilità con l’uomo, è espressa da Gesú nel discorso sull’adulterio (Lc 16, 18).
Di qui si svilupperà – ripetendo, interpretando, attualizzando, spostando, fraintendendo, avvilendo, falsificando il messaggio evangelico – quella che culturalmente possiamo dire tradizione cristiana, la quale richiede una seria ripresa critica, per il superamento dei suoi limiti e la valorizzazione delle positive acquisizioni.
La ricerca deve aprirsi alle immense riserve della tradizione spirituale, accessibile nei discorsi dottrinalmente elaborati, e, con ricchezza che non dobbiamo attendere inferiore, in altre numerose forme di espressione, meno teoreticamente controllate, ma piú prossime all’esistenza concreta e alla storia. Quanto promette una migliore considerazione della spiritualità femminile e di quei mondi che, per ragioni molteplici, meritano il titolo di poveri, umili, emarginati? Quanto ancóra aspettare da una seria considerazione della comprensione dell’umiltà in contesti confessionali o religiosi diversi da quello cattolico e cristiano?
L’attendere a un simile sforzo richiede molto, anche in fatto di umiltà; ma avrà il vantaggio di permettere di esperire e di mostrare che l’umiltà cristiana è costitutivamente connessa alla grazia gratuita di Dio, che si esprime nel perdono implorato, gratuitamente donato, con gratitudine accolto e generosamente partecipato.