Sacrificare il sacrificio
di Luisa Riva
L’indagine psicoanalitica fa della pratica dell’interpretazione la base sulla quale costruisce il suo lavoro di indagine sul soggetto e le sue relazioni fondamentali. Non a caso Marx, Nietzsche e Freud sono stati definiti da un filosofo del ‘900, Paul Ricoeur, «maestri del sospetto». Ciascuno di loro, Marx per l’economia, Nietzsche la morale, Freud l’io, ci ha costretto ad andare oltre le apparenze. Le cose non sono come sembrano, vale la pena di interrogarsi piú a fondo sul loro significato. Anche il titolo dell’ultimo libro dello psicoanalista Massimo Recalcati Contro il sacrificio ci invita a interpretare questa espressione, a sospettare del sacrificio, a svelarne le contraddizioni, proprio quando comunemente, invece, si tende a vedere in esso un valore, direi anzi un valore da recuperare in una società in cui sembra sempre piú difficile trovare qualcuno disposto a sacrificarsi.
Esiste un istinto al sacrificio?
Ma è proprio cosí? Che cosa è in gioco nel sacrificio? Quanto una cattiva interpretazione del cristianesimo ha contribuito a fare del sacrificio e dell’autosacrificio un mezzo di realizzazione di sé, se non un fine? Un tema ritornato prepotentemente di attualità nelle nostre società traumatizzate dalla follia del terrorismo. Che cosa spinge dei giovani a sacrificare la loro vita e quella di tanti innocenti, quale causa merita un tale sacrificio?
Naturalmente l’indagine di Recalcati è condotta con gli strumenti della psicoanalisi, l’autore si propone di mettere in luce il significato simbolico del sacrificio, passaggio necessario nel processo di umanizzazione della vita, come pure la sua perversione che dà vita a un fantasma sacrificale destinato a mortificare la vita stessa. Nell’ultimo capitolo, Sovversione del sacrificio, propone invece una lettura che, proprio a partire dalle parole di Gesú, da una corrente di pensiero, seppure minoritaria, del cristianesimo e dalla interpretazione psicoanalitica, ci permette di superare la visione colpevolizzante dell’esistenza e apre alla necessità di «sacrificare il sacrificio».
Freud ci insegna che la vita dell’animale è espressione della realizzazione del suo istinto, realizzazione senza differimento delle pulsioni, non esiste l’istinto al sacrificio, dunque esso non ha spazio nella vita animale caratterizzata come è da «una presenza che non può mai diventare oggetto di interrogazione» (29). Ma proprio Freud, che per molti aspetti riconduce la vita dell’uomo alle sue radici biologiche e animali, distingue decisamente la vita umana da quella animale. L’ingresso del soggetto nella comunità umana richiede una «rinuncia pulsionale» che Freud chiama «sacrificio simbolico»: ne ritroviamo traccia in molti miti antichi (Genesi compresa) che alludono a una rinuncia al godimento illimitato, all’accesso a ogni desiderio, per l’esistenza di una Legge che segna appunto una discontinuità con la vita animale, aprendo però la via all’umanizzazione.
Vi è dunque un sacrificio, una castrazione simbolica, ma grazie a esso si dà la possibilità della costituzione del soggetto. Perché è solo di fronte alla Legge che sorge la libertà come possibilità di obbedire o trasgredire. Ma dice Recalcati:
Nella follia e nella perversione il carattere normativo del sacrificio simbolico viene disperatamente negato. Né il folle né il perverso vorrebbero cedere quella quota di godimento che rende il vivere umano. Nondimeno, in questa rivolta di fronte al sacrificio simbolico, si manifesta pienamente la passione fondamentale che attraversa la vita umana: il disegno del folle e del perverso è quello di raggiungere l’immediatezza senza pensiero e senza desiderio della vita piena, della vita colma di vita, quale sarebbe, per citare Sade, quella di Dio o dell’animale, ovvero una forma di vita che esclude la mancanza e con essa ogni esperienza, anche simbolica del sacrificio [… tuttavia il loro errore] è quello, piú precisamente di confondere lo statuto simbolico della castrazione con quello immaginario del sacrificio (21-22).
Continua sul Gallo stampato… e nel seguito:
- La rinuncia al godimento
- Il fantasma sacrificale
- Non annientamento, ma apertura