Maria Vingiani

di Maria Pia Bozzo

Alla notizia della morte di Maria Vingiani, fondatrice del Segretariato Attività Ecumeniche (SAE), il 17 gennaio scorso, è stato naturale, come di solito avviene, rintracciare nella memoria, il tempo e l’occasione del primo incontro con lei, della prima conoscenza. Sono dovuta tornare indietro di molti anni, all’inizio del Concilio ecumenico Vaticano II (1962-1965), quando Maria, venuta a Roma da Venezia, aveva cominciato a organizzare in casa sua riunioni di carattere ecumenico. Io, all’inizio del terzo anno universitario, ero stata chiamata a Roma al centro nazionale della FUCI, e in quell’ambiente, molto ricco e stimolante, seguivamo con grande partecipazione lo svolgimento del Concilio e tutte le iniziative che da esso e intorno a esso prendevano l’avvio.
Mi capitò perciò di essere inviata in rappresentanza della FUCI a uno degli incontri ecumenici promossi da Maria Vingiani. Ne ebbi un’impressione straordinaria sia per gli argomenti dibattuti, fino ad allora del tutto ignorati, sia soprattutto per la personalità di Maria. Mi apparve di un’energia incredibile, piccola di statura, minuta, tutta fuoco. E parlava con vivacità e passione, quasi mossa da un’urgenza interiore, di argomenti che io apprendevo per la prima volta e di cui via via scoprivo l’importanza e l’attualità.
Ne rimasi molto affascinata e partecipai sempre molto volentieri a questi incontri, tanto che Maria, sempre protesa a diffondere l’interesse per il cammino ecumenico, mi invitò a partecipare alla prima sessione estiva del SAE organizzata alla Mendola. Fu per me un’altra esperienza straordinaria, di quelle che ti segnano nella vita: venire a contatto con personalità significative, cattolici e di altre confessioni cristiane, ascoltare interventi di grande livello che esprimevano l’ansia dell’unità partendo da esperienze storiche diverse e contrastanti, l’impegno per una ricerca delle comuni radici, il rapporto con l’ebraismo erano la scoperta di un mondo ancora sconosciuto, ma tanto ricco di promesse. Non sentii mai usare il termine conversione verso la chiesa cattolica, mentre appresi il senso delle parole chiese sorelle.
Nel passare degli anni, Maria si conservò sempre cosí, appassionata e tenace pur in mezzo a difficoltà e talvolta a delusioni, in un ambito visto con sospetto non solo dal magistero cattolico. Tornata a Genova dopo l’esperienza della FUCI, tra il lavoro, la famiglia e un po’di impegno politico non ebbi piú la possibilità di partecipare alle iniziative del SAE nazionale per un lungo periodo.
Negli ultimi anni della presidenza Vingiani potei tuttavia riprendere i contatti in qualche convegno ed ebbi il piacere di ritrovare Maria cosí come la ricordavo: sempre appassionata, sempre energica e volitiva, testimone di una grande fede e di una vera e propria vocazione. Sempre molto riservata sulla sua vita privata e sulla sua spiritualità, aperta all’amicizia e alle relazioni, totalmente impegnata per il fine che riteneva essenziale per la chiesa universale: l’unità dei cristiani, in risposta all’esortazione di Gesú, nel rispetto delle diverse tradizioni frutto di riflessioni teologiche e di vicende storiche.
Negli ultimi vent’anni Maria Vingiani, ormai quasi centenaria, si era ritirata dall’attività, ma non dall’interesse per il cammino ecumenico, rimanendo per tutti quelli che l’hanno conosciuta un punto di riferimento. La cultura dell’ecumenismo si è certamente diffusa anche grazie alle relazioni di amicizia stabilite fra diverse esperienze religiose e alle iniziative promosse e sollecitate dal SAE che ha preparato e accolto le aperture di Francesco verso nuove speranze pastorali e dottrinali.