Oltre la fragilità cieli e terre nuove

di Giannino Piana

La recente pandemia da coronavirus, che ha costretto a livello mondiale i governi a interventi drastici, i quali hanno modificato gli stili di vita personali e i comportamenti collettivi, non ha evidenziato soltanto le contraddizioni del sistema sociale vigente, ma ha messo piú radicalmente sotto processo la presunzione di onnipotenza prometeica, che sembrava divenuta un carattere distintivo dell’uomo contemporaneo. Gli enormi progressi della tecnologia in tutti gli ambiti della vita personale e sociale hanno dato all’uomo l’illusione di poter esercitare un dominio incondizionato su sé stesso e sulla realtà, con il superamento di ogni limite e la possibilità dell’esercizio di un controllo assoluto.
Un diffuso ottimismo illuministico dilagava pertanto nella civiltà tecnologica, grazie all’affermarsi della ragione strumentale, la quale sembrava definitivamente confermare la verità del famoso detto di Bacone: «conoscere è potere». La conoscenza del mondo e delle sue leggi e il possesso di strumenti sempre piú sofisticati per intervenire su di esso, con la possibilità di dar vita a processi manipolativi sempre piú pervasivi, non poteva che trasformare l’uomo in padrone indiscusso del mondo. Questo sentimento arrogante di controllo totale sulla realtà era poi ulteriormente avvalorato dal prevalere della logica quantitativa e utilitarista del mercato, divenuta l’unico criterio di valutazione degli interventi da lui messi in atto.

La crisi di un modello culturale

I segnali del limite di questa visione dell’agire umano (e piú radicalmente della stessa identità dell’uomo) si sono da tempo fatti sentire. La portata devastante della crisi ecologica, con l’avanzare di forme sempre piú pesanti di inquinamento, da un lato – è sufficiente richiamare l’attenzione sulla questione climatica –, e la gravità della crisi economica, con l’incremento esponenziale delle diseguaglianze e l’accentuarsi della conflittualità sociale, dall’altro – il 2008 ha segnato al riguardo con lo scoppio della bolla finanziaria un punto di non ritorno – hanno reso trasparenti le contraddizioni del sistema costruito dall’uomo e hanno soprattutto evidenziato il limite (e persino la ambiguità) delle decisioni umane.
Il coronavirus ha fatto emergere, in maniera drammatica, la gravità di questi limiti. In gioco vi era in questo caso un valore fondamentale, la salute (e piú radicalmente la stessa vita), ed è naturale che questo provocasse un coinvolgimento emotivo (e non solo) di grande intensità. Non si trattava soltanto di misurare i rischi della globalizzazione e il fallimento del modello al quale ci si era ispirati nel promuoverne gli sviluppi. Vi era qualcosa di piú che veniva alla luce con chiarezza, ed era la presa di coscienza che la stretta interdipendenza, che lega ormai tra loro tutti i popoli della terra, porta con sé la tragica possibilità della trasmissione del negativo – a questo si allude con l’uso del termine pandemia –; e questo, come si è accennato, in un campo estremamente delicato, quello della salute (e della vita). Che questo fosse vero lo si era del resto piú volte sperimentato negli ultimi decenni, con una progressione impressionante in ambiti di grande rilevanza. Basti qui ricordare quanto è avvenuto (e avviene) nel campo dell’informazione, con il fenomeno delle fake news. O ancora, quanto è avvenuto (e avviene) in campo politico con il trionfo dei populismi e dei sovranismi, che dilagano ormai nei vari Paesi europei (e piú in generale in tutto l’Occidente). Ma la novità del coronavirus, che spiega anche le ragioni dell’incidenza speciale da esso avuta, è il carattere esistenziale che lo contraddistingue, il coinvolgimento diretto del corpo, e dunque la presa di coscienza maggiormente concreta della propria caducità.

Continua sul Gallo stampato… e nel seguito:

  • La paura che nasce dal di dentro
  • Nel cuore della fragilità
  • La creaturalità come fondamento