Una nuova stagione

di Carlo Galanti e Silviano Fiorato

Per chi suona la campana? Si chiederebbe ancora oggi Hemingway, citando il titolo di un suo celebre romanzo, mentre noi ci chiediamo: «per chi suonano le campane?» quando dai campanili delle nostre chiese scendono i gloriosi rintocchi di motivi un tempo popolari, come Noi vogliam Dio o Christus vincit: graditi ancora ai vecchi, ma del tutto ignorati dagli altri, anche se piacevolmente ascoltati come una cantilena. É l’immagine sonora di un tempo passato che ci viene presentata come simbolo dell’eternità.
Troppo spesso qui a Genova la Chiesa si esprime ancora con modalità e linguaggi ormai incomprensibili: basta entrare in una chiesa e ascoltare alcune omelie che esprimono apparenti sicurezze, richiamandosi spesso a formule dogmatiche ormai desuete. Vengono usate parole estranee al tempo che viviamo, che ignorano il senso del vangelo vissuto nelle nostre giornate. A questa incresciosa realtà aveva cercato di impostare un rimedio il Concilio Vaticano II, osteggiato piú o meno apertamente purtroppo da non pochi esponenti della stessa Chiesa cattolica nei decenni successivi.
Non pochi preti hanno avuto scarsa conoscenza delle decisioni conciliari, ammutolite da coloro che non erano d’accordo nell’esprimere un necessario cambiamento per vivere cristianamente nell’epoca in cui viviamo. Papa Francesco si è reso ben conto di questa situazione e ci ha fatto capire che «vivere è cambiare», citando le parole del cardinale Newman che lui stesso un anno fa ha proclamato santo: la continua evoluzione del mondo in cui viviamo richiede obbligatoriamente una nuova apertura allo spirito conciliare e una piena accoglienza delle sue espressioni, sia verbali sia negli stili di vita, superando anche manifestazioni esteriori ancora quasi obbligatorie, almeno in certe diocesi, come gli abiti talari.
Vivere la fede nella sua pregnanza piú profonda significa anche portare il senso del Vangelo nella nostra attualità, sia nel modo di viverla individualmente sia nel nostro vissuto sociale, nella sua continua evoluzione antropologica.
La mancata apertura verso questa esigenza, barricandosi dietro un cristianesimo di facciata, è continuare a ostentare una falsa figura di Gesú Cristo. Le apparenti sicurezze di chi si appoggia al passato non possono aver altro destino che crollare sulla loro ombra.
A proposito di ombre e di luci, qui a Genova stiamo iniziando una nuova stagione; dopo il cardinale Siri, la cui ombra si è protratta fino a ieri, dall’11 luglio scorso abbiamo finalmente una speranza, nella persona del nuovo arcivescovo Marco Tasca che salutiamo con fiducia mentre confidiamo che il vento dello Spirito si faccia finalmente sentire, e possa essere ascoltato, alle soglie del palazzo vescovile.