Maschere e mascherine

di Ugo Basso

Certo non ci aggiriamo fra buone notizie. Neppure le recenti elezioni lo sono troppo: è da salutare con piacere la distribuzione delle regioni tre a tre, quando si era ventilato un cinque a uno e un analogo risultato positivo nei comuni: un sospiro di sollievo, allontanati per il momento angoscianti fantasmi. Le regioni però restano quindici a cinque! E le analisi dei risultati devono essere sempre molto prudenti, perché gli entusiasmi, anche se giustificati, possono distrarre.
Resta però nel complesso una ragione di speranza: questi risultati almeno dicono che vale la pena non arrendersi che il cielo non è cosí chiuso. Mentre continua a preoccuparmi molto la mancanza di progetti, la mancanza di identità delle forze politiche: si può vincere o perdere, ma le idee di riferimento e le applicazioni auspicate dovrebbero essere chiaramente espresse e non fluttuanti alla ricerca di voti. Purtroppo vale per tutti, ma anche per la destra sovranista che ora gioca la carta della moderazione e lo spostamento al centro, da sempre l’unica posizione vincente nel panorama politico italiano. Mi chiedo perché, anche l’informazione piú credibile, continui a rivestire della pelle del tranquillizzante centro-destra il lupo della destra estrema razzista e antieuropeista.
Mentre lo scenario è ancora turbato dalla diffusione del virus. Ci muoviamo fra l’esigenza di ridurre al minimo i contatti fisici – anche solo incassare soldi ai bancomat – e quella di mantenerli – incontri personali, scuola, cultura che stanno a cuore a tutti –, accettando i rischi. Si tratta di scelte delicate a livello politico e personale. In una comunità civile coesa, tutti dovrebbero collaborare a cercare il meglio per i piú, soprattutto quando qualunque scelta è di compromesso. É inquietante che, invece, se ne faccia strumento per inseguire voti: sarebbe auspicabile che la destra si togliesse la maschera e non solo la mascherina. I negazionisti, devastanti non solo in Italia, sono politicamente collocati, ma con grande attrattiva sulla gente che preferisce fare quello che vuole, pensando sempre che a morire sono gli altri. Come il malato costretto a cure pesanti si affida a chi assicura che non servono a nulla, che si può vivere come se non ci fosse malattia, salvo poi morirci. Proprio come il manzoniano don Ferrante: convinto che la peste fosse causata da una fatale congiunzione di Saturno con Giove, irrideva «i signori medici» che, «con faccia tosta, ci vengono a dire: non toccate qui, non toccate là, e sarete sicuri [...] Su questi bei  fondamenti, non prese nessuna precauzione contro la peste; gli s’attaccò; andò a letto, a morire…» (I promessi sposi, cap XXXVII).
Provo qualche riflessione sulle piú ripetute affermazioni negazioniste – peraltro cambiate nei mesi della pandemia. Tutta la macchina della pandemia sarebbe messa in movimento non si sa da chi per mettere la museruola alla gente, mortificarla e renderla facilmente asservibile: non so immaginare a chi il virus abbia asservito Berlusconi e Trump. Qualunque restrizione alla nostra libertà è dolorosa e suscita insofferenze: ma non mi pare diversa dalle restrizioni imposte da una malattia o da una ingessatura – a volte anche ben piú pesanti –, mentre non ho mai avuto sensazioni di qualche privazione della libertà nel pensiero, nella comunicazione, nelle scelte politiche, libertà per cui ho invece serie preoccupazioni quando qualcuno chiede pieni poteri. C’è ancora chi considera intollerabili limitazioni alla libertà il divieto di fumo in molti ambienti.
Leggo che alla gente si fa credere che i contagiati siano ammalati: la gente probabilmente è distratta. Non ho proprio mai pensato che i contagiati siano ammalati, si è sempre parlato di portatori sani e il problema è che i sani diffondono il virus del tutto inconsapevolmente. E leggo ancora che molti sono morti perché mal curati: è certamente vero, come riconoscono gli stessi medici, affaticati e depressi dall’inefficacia delle cure disponibili, ma non per un piano diabolico, per terrorizzare con i grandi numeri, ma semplicemente perché all’inizio della pandemia si disponeva di minori conoscenze. È vero che oggi si cura meglio e si sopravvive di piú: ma non credo ci sia qualcuno che, tranquillizzato da queste prospettive, ritenga di potersi ammalare senza preoccupazioni.
Un’ultima considerazione sulla distinzione fra le morti per il virus e con il virus: causa delle morti non sarebbe il covid, ma malattie pregresse. Non so dire per quanti il virus sia l’unica causa di morte, ma l’argomentazione è molto speciosa semplicemente perché moltissimi, soprattutto di una certa età, hanno, note o meno, patologie in atto con le quali però si può convivere a lungo, quindi questa costatazione non assolve il virus, né riduce il pericolo.
Non sono l’inerzia, l’indifferenza, la ricerca dell’utile personale immediato ad accompagnarci verso tempi migliori.