2020 dicembre

Nel tempo della post-verità, il reale, sostanziato da fatti oggettivi registrabili e quantificabili, tende a essere soppiantato dalla sua rappresentazione, modificata da intenzioni che ne vogliono alterare la percezione o modificabile secondo l’onda delle reazioni suscitate nella gente da un evento o da una affermazione.
L’opinione pubblica non appare influenzata tanto dai fatti oggettivi quanto dagli appelli a emozioni e a credenze personali, mentre la tecnologia ha reso oggi possibile misurare in tempo reale le risposte di un grande numero di persone a ciò che avviene o viene detto sul momento, trasformando le reazioni emotive in dati da sfruttare per orientare le scelte di campo, gli umori, i voti o gli acquisti. Una situazione che porta sempre piú spesso a contrapporre impressioni o sentimenti alla realtà dei fatti: un ragionamento sugli immigrati supportato dai veri numeri della rilevazione statistica, per fare un esempio, sarà anche corretto, ma non ha alcuna importanza, se la percezione della gente è diversa. La realtà sarà pure quella, ma le persone stanno da un’altra parte, in un luogo esistenziale complesso e diverso, dove ciascuno si colloca sentendosi libero di decidere quale strada percorrere, quali politiche sostenere e chi seguire. Un luogo dove ogni individuo acquista un valore assoluto, capace di sfidare qualsiasi dato della realtà con la concretezza della propria scelta, di opinione come di voto. Ed è con questo luogo dell’individualità, esaltato dalla partecipazione ai social della rete, che occorrerebbe sintonizzarsi, dalla politica alla religione, intercettando i perché dei bisogni e delle aspettative di ciascuno, non per dare la stura a rivendicazioni rancorose in stile populista, ma per dare voce e concretezza operativa a ciò che serve per il bene comune non solo dichiarato, ma finalmente percepito perché consapevoli che ci si salva o ci si perde insieme.
Nel frattempo, però, la pandemia ha messo in standby ogni altro discorso; di fronte all’avanzata inarrestabile del virus, ai lockdown totali o parziali, all’altalenare dei dati, mai certi e messi in discussione, alle notizie dei vaccini in arrivo, forse, ma quando e per chi, ha moltiplicato le narrazioni senza per altro assegnare a nessuna un valore definitivo, perché tutte soggette a un interrogativo finale, tutte all’inseguimento di un virus mutevole e di altrettanto mutevoli risposte. E, forse, l’incertezza, il confronto tra le narrazioni e una realtà che cambia troppo in fretta potrebbe aprire una breccia in ciò che credevamo acriticamente certo; uno spiraglio utile per ritornare a pensare, per guardare agli altri, incerti come noi, pensanti come noi, smarriti come noi e riavviare un dialogo interrotto, là dove la differenza delle visioni incontra il Covid19, con le sue morti, i suoi drammi e le sue sofferenze. Un varco che magari si richiuderà a pandemia finita, ma che vale la pena di attraversare per cogliere, nell’attimo fuggente che ci è dato, il profumo lasciato nell’aria dalla complessità della vita, mai senza sfumature, non tutta nelle nostre mani, e riconoscere, almeno per una volta, il tanfo odioso sparso come letame dalle false notizie.
Tra poco sarà Natale, forse meno conviviale e piú intimo del solito a causa delle restrizioni da distanziamento, un’occasione per fermarci proprio quando le cose ci sembrano andare per il verso sbagliato. Fermarci per rileggere il mistero di un bambino che nasce per cambiare le regole del vivere tra noi; fermarci per aggiornare la personale interpretazione del mondo e della nostra esperienza, senza omettere i momenti preziosi, i piccoli piaceri, gli attimi di gioia non sempre chiari nella memoria, ma vissuti realmente. E magari riusciremo allora a cambiare quella narrazione interiore che ci fa parziali.