2021 novembre

Mentre nel pianeta sale l’allarme per un possibile rigetto, da parte del cosmo, della stessa umanità, la quale ha globalizzato la finanza in un frammentare di interessi che generano mutamenti climatici devastanti, innalzamento delle acque ampiamente inquinate, conflitti e inaccettabili discriminazioni, c’è chi immagina una possibile soluzione nell’istituzione di una autorità mondiale. Anche Francesco nella sua enciclica Fratelli tutti la pone come strumento principe della buona politica: una istituzione non priva di gravi difficoltà a livello di una effettiva rappresentatività e con il rischio di una tirannia mondiale. Non andiamo oltre l’utopia magari sostenuta dalla fede, mentre il pianeta è lontanissimo dall’organizzarsi in un unico sistema sociale che abbia il bene comune dell’umanità – al primo posto la sopravvivenza – come fine.
Il pessimismo non deve soffocare l’impegno, ma è un fatto che la gran parte delle istituzioni sovranazionali – universali e continentali – è in difficoltà: dalla difficoltà di accettare riduzioni delle sovranità nazionali ai problemi del finanziamento e di un esercito comune, o anche solo di un sistema di polizia che sarebbe pagato da chi potrebbe subirne le sanzioni. Ma, mentre ne osserviamo la crisi, mentre denunciamo gli scarsi risultati e la debolezza, anche la litigiosità, con errori nella struttura giuridica, come il diritto di veto su ogni decisione, nessuno ne auspicherebbe la soppressione. É difficile negare che l’esistenza di queste istituzioni, in particolare l’ONU, abbia comunque giovato alla pace – troppo poco, certo – e alla vita dell’umanità, in particolare gli organismi settoriali specificamente finalizzati all’alimentazione (FAO), alla sanità (OMS), alla tutela dei bambini (UNICEF), alla cultura (UNESCO), pensati e attivi in uno spirito sovranazionale.
Chi pensa in questa prospettiva auspica una rivoluzione culturale che anche i piú ottimisti non possono immaginare in tempi prossimi, restano tuttavia delle strade da percorrere da oggi e certo molti, politici o profeti, ci stanno lavorando. Sicuramente occorrono studio e partecipazione a sostegno di quanto esiste attraverso adesioni e contributi personali in ambito sociale e politico, dai partiti a movimenti, associazioni e chiese. Ma tutto questo deve trovare collocazione nel piú ampio orizzonte di una conversione alla responsabilità etica.
Ogni scelta, ogni azione che antepone l’interesse comune al proprio, induce a un agire che non crea discriminazioni, ma incoraggia capacità e iniziative positive, attrattive, fondate cioè sul convincimento che senza collaborazione e equità, senza una visione etica l’umanità non ha futuro. La globalizzazione, la velocità nello scambio di informazioni e la possibilità di movimenti in tempi rapidi favoriscono conoscenze e collaborazioni nell’apprezzamento delle diversità, con la garanzia per tutti di una libertà che non è arbitrio o capriccio, regolata da una dimensione evoluta della democrazia.
La dimensione etica è sempre universale e pertanto ogni passo in questa direzione, verso quella che Gaël Giraud chiama «solidarietà globale», è un passo verso una concezione globale della vita sul pianeta in una nuova prospettiva di armonia che si faccia convincente e attrattiva, indicando un diffuso benessere. Resterà un sogno per tempi lunghi, un’utopia in cui credere: le religioni, la cristiana, nelle diverse confessioni, che ci è piú familiare, ma certamente anche altre acquisterebbero credibilità se si accordassero a muoversi in questa direzione.

i Galli