La parola nell’anno – ottobre

XXVIII domenica tempo ordinario A
MA NON SENZA ABITO (Matteo 22, 1-14)
di Augusta De Piero

«Gesú riprese a parlare» (22, 1): il profeta di Nazaret, lasciata la Galilea, si trova in Giudea alle soglie della città di Gerusalemme. Non si è risparmiato nella proposta di parabole che la narrazione matteana inserisce in una fitta successione. Lo ascoltano uditori chiamati dal suo passaggio, i discepoli e gli apostoli che sono con lui, ma non solo.

Udite queste parabole, i capi dei sacerdoti e i farisei capirono che parlava di loro. Cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della folla, perché lo considerava un profeta (21, 45-46).

Gesú non demorde e nella parabola del banchetto nuziale, che occupa l’intera pericope, si rivolge direttamente ai suoi detrattori, proponendo e proponendoci la narrazione di una scena paradossale.

Un re fece un banchetto di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire (22, 2-3).

Il re non si accontenta e invia ancora i suoi servi (fuor di metafora, i profeti) a descrivere agli invitati le prelibatezze del banchetto. Questi non se ne danno per intesi, concentrati senza riserve sui fatti propri: il lavoro, la proprietà, gli affari, magari le amicizie. Ma un banchetto di nozze è una festa che richiede di saper condividere la gioia altrui. Per questo non hanno tempo e tanto li irrita l’insistenza del re che uccidono i suoi messaggeri.

Allora il re si indignò e, mandate le sue truppe, uccise quegli assassini e diede alle fiamme la loro città (22, 7).

È comunemente riconosciuta in questa scena la fine di Gerusalemme, del suo tempio distrutto dai romani nel 70: una linea di demarcazione nella storia di Israele che viene proposta senza interrompere la continuità della narrazione. Infatti, il banchetto è sempre pronto, ma non ci sono piú i commensali. Il re non demorde e insiste, manda ancora i suoi servi a chiamare tutti quelli che troveranno e,

usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempí di commensali (22, 10).

Ai convenuti è chiesto solo di essere degni del luogo in cui si trovano. Uno di loro però è entrato, si è accomodato al banchetto solo, senza veste appropriata, non ha neppure tentato di farsi eletto nella piena dignità di chi ha accettato l’invito. «Amico, come mai sei entrato in questa stanza senza l’abito nuziale?» (22, 12). Chi glielo chiede è un Padre che, per amore, ha messo in gioco il suo stesso figlio ma, a fronte della domanda radicale, il convitato ammutolisce. La condanna che ne consegue, espressa con i termini del linguaggio dei profeti, resta un’ombra minacciosa. Dove i servi getteranno l’uomo prigioniero della sua indifferenza «ci sarà pianto e stridor di denti» (22, 13b).
È la minaccia sospesa di una condanna che l’accettazione della misericordia gratuita può sempre superare.
Lo testimonierà il traditore Pietro che non si trincera nel silenzio e sarà salvato da un pianto amaro, il suo abito nuziale (Mt 26, 75b).

 

Solennità della comunione delle sante e dei santi del cielo e della terra
NON PER GLI HAPPY FEW (Apocalisse 7, 2-4.9-14; 1Giovanni 3, 1-3; Matteo 5, 1-12)
di Domenico Cambareri

«Io Giovanni vidi… quello che non è stato ancora rivelato… e che Gesú vide», questa potrebbe essere una sintesi narrativa che semanticamente unifica le letture che la Chiesa propone alla meditazione del popolo di Dio nell’odierna solennità.
Immergiamoci nel giuoco stupito di questi sguardi. Una folla non conteggiata da Matteo di dolenti e speranti, ebrei e pagani, prossimi a Dio o reietti segue il Nazareno finché questi, con viscere di misericordia, si siede e consegna le beatitudini.
Disegna la gioia – che Giovanni definisce «non ancora rivelata » – di persone che possono ambire alla felicità terrestre e celeste. Una felicita a caro prezzo, che lascia intravvedere la grande tribolazione della visione apocalittica. «Vi insulteranno, vi perseguiteranno, vi calunnieranno» perché avete accolto il Vangelo: esprimerete quella vita risorta che chiede di nascere e questo parto non è indolore ché le potenze del mondo tenteranno di impedire con invidia.
Dio è decisamente dalla vostra parte; forse può sembrare poco, ma è un fragile inizio che può causare conseguenze incredibili. Da questa sfida rivelata da Gesú provengono «i meriti e la gloria di tanti nostri fratelli» che sono il tema della giornata; sante e santi che sempre e ovunque, consapevolmente o inconsapevolmente, hanno tradotto in scelte di libertà innamorata la possibilità di una vita di beatitudine. «Uno, nessuno, centoquarantaquattromila…».
Oltre il conteggio che il visionario apocalittico conosce emerge l’infinito numero delle amiche e amici di Dio che, come la discendenza stellare promessa ad Abramo, non sono conteggiabili e costituiscono la vera gloria del Dio vivente. Un non numero consegnato alla Chiesa affinché si ricordi di non considerare la salvezza ad esclusiva fruizione di élites, privilegiati, alla crema della Chiesa. Non si lasci essa tentare dalla scorciatoia che con un termine anglofono è rappresentata dagli happy few; scorciatoia motivata dalla paura verso un mondo che si avverte come estraneo alla fede, quasi pericoloso.
Insomma, rigettando l’ideologia degli happy few appunto, quello che avete creato in terra – caste clericali, gruppi e cordate neofarisaiche – non accadrà nel cielo! E beati gli occhi che non si scandalizzeranno di vedere accolti presso l’eternità tutte e tutti coloro che Dio avrà voluto.