2023 gennaio
La rivolta, in corso da mesi in Iran dopo l’uccisione di una giovane curda da parte della polizia cosiddetta morale, e repressa sanguinosamente nella sostanziale indifferenza generale, pone questioni imbarazzanti alle nostre coscienze.
I curdi abitano una regione alla quale, nelle divisioni dei territori mediorientali seguenti alla prima e alla seconda guerra mondiale, non è stato consentito di diventare nazione.
Costituiscono un popolo martire da decenni, di recente usato cinicamente per combattere l’Isis e ancora perseguitato, nell’impotenza delle Nazioni Unite, dalle politiche nazionaliste ostili alle minoranze nei paesi in cui vivono.
Perché certe guerre colpiscono l’opinione pubblica mondiale e altre scivolano via sostanzialmente inosservate? A mobilitare gli Stati, l’informazione e persino le coscienze sono sempre, e soprattutto, questioni economiche e di potere. Per l’Occidente, che presuntuosamente si autocertifica come fautore e depositario di valori irrinunciabili, riconoscere e ammettere onestamente le proprie motivazioni è oltremodo difficile.
Eppure i segnali della colpevole ipocrisia di governi e cittadini sono innumerevoli: dagli undici anni di conflitto in Siria dove si scontrano per procura e a vario titolo alcune potenze, occidentali e non, con centinaia di migliaia di profughi mal accolti se non addirittura perseguitati, ai sette anni di guerra civile nello Yemen. E aggiungiamo la caotica polveriera libica, che vede implicata anche l’Italia; insieme ai tanti altri focolai in Asia e in Africa.
Non vogliamo prendere coscienza di quella che papa Francesco chiama terza guerra mondiale diffusa, mentre la parte di mondo che è in pace continua i suoi lucrosi affari, fingendo che tali tragedie non esistano. Pecunia non olet dicevano i latini, non ci si deve interrogare sulla provenienza della ricchezza, e duemila anni di cristianesimo non sono riusciti a intaccare questo rapinoso modo di pensare e agire, responsabile di tanta violenza e inequità che rendono precaria la vita di centinaia di milioni di esseri umani.
E che dire della ventisettesima sessione della Conferenza delle parti (Cop 27) a Sharm el-Scheik, in quell’Egitto che sequestra e uccide; del G 20 di Bali, dove l’attesa e storica stretta di mano tra i presidenti americano e cinese sorvola sulle violazioni dei diritti umani, in vista di un confronto economico non-cruento fra le due super potenze; e del campionato di calcio giocato nel deserto del Qatar non scelto per ragioni sportive, come ampiamente dimostrato dagli atti corruttivi nel parlamento europeo?
Nel piccolo ricchissimo paese mediorientale alla ricerca di visibilità internazionale sono ignorati i diritti umani delle minoranze e dei lavoratori dei paesi piú poveri, molti dei quali morti nelle costruzioni degli impianti senza adeguate tutele. Davanti a queste offese tacciono i cosiddetti principi irrinunciabili delle democrazie, proni di fronte a Mammona, il padrone che perverte e porta alla perdizione, come dimostra anche la devastazione ecologica causa di un altro ordine di disastri.
Avremmo sperato un quadro meno tenebroso all’inizio del nuovo anno: gli auguri che ci vogliamo scambiare nella sostanziale impotenza manifestino almeno il sostegno a coloro che lottano contro le oppressioni in tutti i modi possibili: con le coraggiose discese in piazza, i silenzi eloquenti, l’esposizione di simboli, i boicottaggi e la rinuncia alle complicità, possibili anche per i singoli individui. E chi vorrebbe ritenersi cristiano senta per sé l’invito di Pietro: «Siate sempre pronti a rispondere a quelli che vi chiedono ragione della speranza che è in voi» (1 Pt 3, 15).
i Galli