2023 aprile

Le tante guerre (oltre una trentina, ma difficile contarle), la morte di innocenti e le immani distruzioni interpellano le nostre coscienze in maniera particolare in questi giorni in cui celebriamo il mistero della passione-morte-risurrezione di Gesú Cristo. La Guerra Grande, evocata dalla rivista Limes (1/23), di cui nessuno può immaginare la fine, e piú volte citata da papa Francesco come «la guerra mondiale a pezzi», stravolge tutto e sgomenta la speranza. Per essere realisti, di fronte al tremendo potere distruttivo delle tecnologie belliche, o ci decidiamo a dismettere le politiche di potenza, archiviare la guerra e fare un salto di civiltà, disarmiamo il pensiero, imparando a risolvere i conflitti con la nonviolenza, o la guerra archivierà l’umanità. Sessant’anni fa (11 aprile 1963) nell’enciclica Pacem in terris Giovanni XXIII dichiarava la guerra una follia («alienum a ratione»). I tragici giochi di potere economico- politici degli imperialismi democratici e di quelli autocratici in competizione generano devastanti conflitti.
Se vuoi la pace, prepara la pace: la complessità dei problemi non deve scoraggiare il faticoso processo artigianale da costruire con l’impegno di tutti, ogni giorno, con lo studio e la pratica degli strumenti della nonviolenza attiva perfino in grado di bloccare l’aggressore. La guerra non può essere uno strumento per restaurare la giustizia e i diritti violati; non sono oggi ammissibili guerre giuste! Occorre l’ascolto attento delle ragioni del conflitto addotte dai contendenti, un dialogo paziente, capacità e creatività diplomatica per edificare un nuovo sistema di convivenza non piú fondato sulla potenza delle armi e sulla deterrenza. Una pace risultante da una vittoria militare è foriera di ulteriori conflitti: la strada è nell’accoglimento di un multilateralismo geopolitico che superi l’egemonia (supremazia) scaturita dalla fine della guerra fredda produttrice di tante cosiddette guerre umanitarie.
Costruire la pace con la giustizia è compito della politica. È sí vero che non c’è pace senza giustizia, ma nemmeno giustizia senza pace: occorre un arbitro internazionale, credibile, riconosciuto da tutti e in grado di far valere le proprie decisioni.
L’antica tradizione governativa cinese insegnava la composizione dei conflitti: oggi pensiamo al rispetto dei principi della Carta delle Nazioni Unite e del corpo di leggi internazionali sui diritti umani proclamati nella omonima Dichiarazione.
La Corte internazionale di giustizia dell’Aia dovrebbe dirimere le controversie, con il potere di sanzionare le violazioni accertate, mentre il Tribunale permanente dei popoli, privo di poteri impositivi e sanzionatori, pronuncia condanne con efficacia morale su violazioni dei diritti umani e dei diritti dei popoli. Strumenti importanti, ma un’istituzione come le Nazioni Unite si condanna all’impotenza riconoscendo il diritto di veto su ogni decisione ai principali attori anche in conflitto fra loro.
Urge farsi convinti che la guerra non risolve le controversie e i conflitti sono componibili, se c’è la volontà; le armi sono sempre riducibili, a partire da quelle nucleari; in una guerra non si deve mai rinunciare a pensare realizzabile un cessate il fuoco. La sofferenza per l’impotenza si farà invito alla partecipazione alle iniziative di pace e aiuto a trasformare il nemico in avversario.

i Galli