Bettazzi uno e due

di Maria Pia Bozzo

Don Bettazzi uno e due: nei miei ricordi si intersecano e si sovrappongono le immagini degli anni ’60 con quelle degli ultimi vent’anni. Il don Bettazzi, assistente centrale della FUCI e del circolo di Bologna, colto, comunicativo, dotato di grande spiritualità e di spirito contemplativo, capace di esercitare sui giovani un ascendente notevole, ma sempre molto attento e rispettoso, anche dei superiori, e il don Bettazzi che, in un gruppo di attempati fucini, amici da quegli anni, abbiamo ritrovato, frequentato, con l’amicizia affettuosa e fraterna che si stabilisce fra persone che hanno a lungo camminato separatamente, ma con straordinaria sintonia. La sua morte ci ha colto alla vigilia dell’incontro del prossimo autunno, in cui avremmo festeggiato anche il suo compleanno centenario – sarebbe diventato un prete secolare, come gli piaceva dire godendo del sottinteso –: ci ritroveremo facendo memoria di tutti i doni che da lui abbiamo ricevuto, ma che il vescovo Luigi ha distribuito a tutti, ai tanti che nella chiesa e fuori di essa lo hanno frequentato.
Ricorderemo i grandi temi su cui si è impegnato con intelligenza e tenacia: gli insegnamenti del Concilio Vaticano II, a cui ha partecipato da giovane ausiliare del cardinale Lercaro a Bologna, ancora attuali e in gran parte da attuare. Un vescovo a cui si attingeva quello che da un vescovo ci si dovrebbe aspettare: discernimento, consolazione, responsabilità, comunione e, in particolare, l’impegno contro la violenza e la guerra e a favore della costruzione della pace, nei rapporti fra le persone, le comunità e gli Stati, l’attenzione ai giovani, ai poveri. Aveva a cuore soprattutto l’idea e la realtà di una chiesa povera, nelle strutture, nelle sicurezze, nelle ritualità, nei beni: si sentiva infatti fedele al patto sottoscritto nel 1965, unico italiano fra una quarantina di stranieri, durante il Concilio, noto come patto delle catacombe, per un impegno rivolto alla povertà della Chiesa.
Insieme alla sua larghezza di visione e alla acutezza di giudizio, abbiamo goduto del suo fine umorismo, della sua capacità di collocare eventi e persone nella loro realtà, senza minimizzazioni e senza abbellimenti, anche quando veniva toccato personalmente: né possiamo dimenticare la sua umiltà e la sua semplicità sia nell’affrontare vicende impegnative (come la presenza in tanti teatri di guerra), sia nel rapporto con le persone piú diverse.
Un maestro e un amico vero che ricordiamo con tanta gratitudine.