Un paese al guinzaglio

di Ugo Basso

Immagino che dei nostri venticinque lettori – tanti ne prevedeva Manzoni per il suo romanzo e i nostri saranno anche meno! – nessuno abbia simpatie meloniane, e, se qualcuno ne avesse, lo invito a ripensarci. Ma a tutti, anche a me, è bene ricordare di tanto in tanto perché Meloni e il suo cerchio sono pericolosi per l’Italia: il rischio è l’assuefazione nella quale si perde di vista che il paese sta andando a sbattere, come efficacemente ammonisce Maurizio Landini.
Nel discorso di Natale una sorridente presidente del consiglio, prima della lunga indisposizione e lontana da qualunque problema del paese, ci invitava – lo ricordate? – all’«orgoglio e all’entusiasmo»: convinzione, passione, soddisfazione, gioia. Orgoglio e entusiasmo sono incentivi a rimanere in Italia e a incrementare le nuove nascite. Ma orgoglio e entusiasmo per che cosa?
Orgoglio per un’Italia che emargina la costituzione e non si dichiara espressione dell’antifascismo? Entusiasmo perché il nostro paese occupa la sesta posizione nella classifica mondiale della vendita delle armi e ne voglia consentire il possesso ai ragazzini? Devo essere entusiasta del deterioramento del sistema sanitario che preclude a molti, certo non agli abbienti, la possibilità di curarsi? Entusiasta della ricomparsa della corruzione con coinvolgimento accertato di diversi membri del governo? Dello spoil system, certo non nuovo, ma mai cosí invadente e incompetente? Devo essere entusiasta dell’incuria dell’ambiente, della cementificazione, della devastante privatizzazione delle spiagge. Entusiasta dell’occultamento dei migranti nei lager libici, o dell’allontanamento dell’Italia dall’Europa?
Non continuo e passo a un’altra citazione dalla presidente del consiglio il 17 dicembre nella grande autocelebrazione romana di Atreju: «Finché ci siete voi, il popolo italiano, non ci sarà verso di liberarsi di me». Manifestazione di fiducia e incoraggiamento al suo popolo, compresi i giornalisti RAI che dichiarano fedeltà al partito, che comunque non rappresenta il popolo italiano, ma quel circa 20% (uno su cinque) che l’ha votata. Un’espressione simile indica una concezione del potere inaccettabile: non parlo dell’idea cristiana del potere come servizio; mi limito all’osservazione democratica del potere funzionale alle necessità e alla volontà del paese, il quale, se non può «liberarsi», significa che non è libero, sudditi, insomma, non cittadini.
È urgente ricordare che nella moderna democrazia liberale prima delle elezioni vengono i diritti dei cittadini, tutti, compreso l’ultimo degli oppositori. Il popolo esercita la sovranità «nelle forme e nei limiti della Costituzione» (art 1), cioè attraverso gli strumenti istituzionali previsti e non attraverso plebisciti o referendum (riservati a casi del tutto eccezionali), influenzabili dall’emozione momentanea, da personaggi famosi, dagli strumenti di persuasione. Chi vince le elezioni non detiene il potere, ma ha il dovere di amministrare all’interno delle leggi. Principi che dovrebbero essere chiarissimi al popolo come agli amministratori che si sceglie, i quali dovrebbero affidare tutte le dirigenze pubbliche – dalla RAI alle banche, dagli enti pubblici alle società partecipate ai responsabili della sanità – non agli amici propri, ma alle competenze piú qualificate per tutelare l’interesse dei cittadini. Mi permetto una seconda citazione letteraria: Ariosto, che non ha ottenuto i benefici sperati dal neoeletto Leone X, giustifica la distribuzione degli incarichi, con annesse cospicue rendite:

Li nepoti e i parenti, che son tanti,
prima hanno a ber; poi quei che lo aiutaro
a vestirsi il più bel de tutti i manti.

E vale anche per manti meno prestigiosi!
Un’ultima nota sulla «madre di tutte le riforme»: il premierato chiede maggiori poteri per il governo riducendo quelli del parlamento e del presidente della repubblica. Molto preoccupato, mi limito a due osservazioni. La prima, diciamo di stile: non tocca all’esecutivo, ma al parlamento, avviare riforme costituzionali sulle quali il governo dovrebbe addirittura astenersi; la seconda sta nella ragione stessa a cui si appella la richiesta del premierato: a chi accusa la costituzione di porre limiti all’esercizio del potere occorre ricordare che lo scopo delle costituzioni è esattamente mettere limiti al potere, a partire dalla celebrata Magna Charta libertatum (1215), non certo democratica, ma primo tentativo di limitare il potere del re. Quest’anno 2024 è anno elettorale: qualche spiraglio potrebbe aprirsi, o drammaticamente chiudersi.