Abbracci liturgici

di Enrico Gariano

Perché tanto disagio in un abbraccio? Senza neppure sfiorarsi. Se c’è una cosa che mi infastidisce oltre ogni limite, è quella parodia di abbraccio che spesso ho visto recitare dal clero durante le concelebrazioni liturgiche. Sí, ho scritto parodia e lo confermo. Infatti, non ha nulla a che vedere con un vero abbraccio, concreto simbolo di un autentico affetto; l’abbraccio che ho sempre osservato appare nient’altro che una recita, ma una ben triste e deprimente recita. I preti, vescovi compresi, si avvicinano, accostano le braccia l’uno verso l’altro, senza neppure sfiorarsi, simulano uno scambio del bacio della pace con una sorta di aborto di inchino reciproco, e subito si allontanano. Ma se questa gestualità – mi sono sempre domandato – genera in loro tanto sconcerto, che cosa aspettano a eliminarla dai riti?
Ma ancora con piú vigore mi sono posto quest’altro interrogativo: da dove nasce questa diffidenza, questa repulsione nei confronti della corporeità? Perché questo terrore del contatto fisico, come se attraverso di esso potesse scatenarsi una chissà quale forza negativa, invincibile e incontrollabile, quasi un preludio a successive azioni peccaminose? Forse il tutto altro non è se non il frutto avvelenato di una educazione sessuofobica che li ha condotti a un disprezzo per la fisicità umana? Il permanere di una visione manichea nella quale il corpo è il nemico dell’anima, un nemico da combattere fino all’ultimo giorno della vita? E se fosse semplicemente perché non si vogliono bene?
Il brano che segue l’ho trovato nella autobiografia di Giovanni Franzoni. Morto quasi novantenne nel luglio 2017, Franzoni, monaco benedettino, negli anni del concilio abate dell’abbazia San Paolo fuori le mura a Roma e, a motivo dei suoi dissidi con la chiesa prima e con la sua riduzione allo stato laicale poi, fece parlare molto di sé. Questo suo scritto si divide in due parti, per me entrambe pienamente condivisibili. La prima è un elogio del canto gregoriano, argomento su cui c’è poco da aggiungere. Tutti quelli che l’hanno udito se ne sono innamorati. Purtroppo è un genere di canto che esige un serio studio prima e lunghe esercitazioni poi e, pertanto, quasi nessuna parrocchia italiana è in grado di crearsi un simile gruppo vocale. Occorre accontentarsi di quei volonterosi che accettano di cimentarsi in qualche musichetta piú o meno indovinata e nell’accompagnamento di un chitarrista pieno di buona volontà.
La seconda parte attiene appunto agli abbracci liturgici.

Incominciai anche, quando in collegio eravamo liberi dal servizio presso la basilica di S. Maria Maggiore, a frequentare le liturgie del collegio internazionale dei benedettini di S. Anselmo sull’Aventino. Il canto gregoriano! Era veramente di alta spiritualità; e la celebrazione dei gesti rituali: inchini, abbracci eseguiti con una trasparenza e una autenticità sconosciute nelle liturgie delle grandi basiliche romane. Per esempio, il modo di cantare dei canonici di quelle basiliche era piuttosto misero e freddo; quando facevano un inchino, quando si abbracciavano, sembra provassero schifo: tutto ben diverso a S. Anselmo, tutto sentito e partecipato intimamente, e si vedeva. Un abbraccio era un abbraccio!