Altra é la strada

di Cesare Sottocorno

Sul prossimo quaderno l’ampio intervento conclusivo di Alberto Melloni, promotore della Piccola scuola di sinodalità, ma, alla vigilia della riunione della seconda e ultima sessione del Sinodo (2.27 ottobre), occorre fare qualche cenno all’Instrumentum laboris, pubblicato lo scorso 9 luglio.
Il lungo testo, suddiviso in cinque parti e 112 punti, sintetizza il cammino percorso a partire dal 2021, mette in evidenza i risultati raggiunti, in particolare aver «sperimentato e appreso un metodo con cui affrontare insieme le questioni, nel dialogo e nel discernimento» per affermare che la sinodalità va intesa come via di conversione e di riforma della Chiesa. Si ripetono, con un linguaggio ecclesiastico e poco profetico, argomenti ormai ampiamente trattati e forse in questi anni un po’ piú diffusi a livello accademico, ma ben poco calati nella prassi delle parrocchie e dei gruppi ecclesiali.
Sono comunque stati espressi anche commenti positivi: rilevante quello del presidente della Conferenza episcopale tedesca, il vescovo Georg Bätzing, che ha definito il testo «promettente», perché legato ad aspettative e speranze che «esprimono la fiducia che è lo Spirito di Dio ad accompagnare la sua Chiesa nel suo pellegrinaggio nel tempo». Tuttavia, fatta salva la fiducia nello Spirito, che non deve mai mancare, dobbiamo osservare che il problema dell’ammissione delle donne al ministero diaconale, cosí come l’ordinazione dei viri probati (caratteristiche delle Chiese riformate che non sono citate nel testo) e gli aspetti legati all’orientamento sessuale (temi fortemente dibattuti dal Sinodo tedesco) non saranno discussi nella seconda sessione del Sinodo, deludendo fin da ora le attese in una Chiesa piú evangelica e capace di interloquire con il nostro tempo.
Forse non cambierebbero il volto della Chiesa né il diaconato femminile, né il presbiterato dei viri probati e nemmeno l’accoglienza delle persone la cui identità sessuale e di genere è considerata al di fuori delle norme della società, la decisione che possano accedere alla comunione divorziati e risposati pur senza astenersi dai rapporti sessuali e le omelie dei laici. Ma certamente conferma un volto della Chiesa che avremmo sperato abbandonato nelle pieghe della storia l’affermazione:

in una Chiesa sinodale, la competenza decisionale del Vescovo, del Collegio Episcopale e del Romano Pontefice è inalienabile, in quanto radicata nella struttura gerarchica della Chiesa stabilita da Cristo. Tuttavia, non è incondizionata: un orientamento che emerga nel processo consultivo come esito di un corretto discernimento, soprattutto se compiuto dagli organismi di partecipazione della Chiesa locale, non può essere ignorato (70).

Altra è, a mio avviso, la strada o, per dirla con una parola sinodale, altro è il cammino da fare insieme. Un cammino che non ha bisogno di molte parole, di strumenti di lavoro articolati e complessi, ma che deve partire dalle origini, dalle prime comunità che si riunivano per spezzare il pane nelle case, da quel farsi samaritani della parabola evangelica come già accade in diversi luoghi, dal sostenere con forza la pace e la giustizia sociale, dal farsi promotori di un vero ecumenismo e di un dialogo con tutte le altre fedi superando per primi le divisioni. E per ultimo un cammino in cui ognuno sia capace di condividere la condizione dei «piú piccoli», dei «poveri», conoscendoli di persona e chiamandoli per nome, per portare la gioia perché, come spesso ripete Francesco, «il cristiano è un uomo, una donna di gioia, un uomo, una donna di consolazione».