Bose: perché un trattamento così disumano
di Giannino Piana
Ho a lungo esitato a scrivere questa lettera sul “caso Bose”, perché avrei preferito sottoscrivere un testo collegiale, che coinvolgesse un numero consistente di persone che hanno a lungo frequentato quella significativa (e originale) comunità monastica. Ho fatto qualche tentativo in questa direzione, ma con scarso successo. Mi sono cosí deciso a intervenire, nel giorno del 78esimo compleanno di Enzo, non per riattizzare la polemica, ma per recare la mia testimonianza.
Sono uno dei primi (e dei piú anziani) frequentatori di Bose, che ha seguito fin dall’inizio e da vicino gli sviluppi di un’esperienza ecclesiale, che ritengo una delle piú esemplari dell’epoca postconciliare. La presenza di donne e uomini, la dimensione ecumenica, l’apertura come ospiti a credenti e non credenti sono altrettanti fattori che hanno fatto di tale esperienza un unicum nell’ambito della vita monastica, non solo italiana.
Ho stretto con Enzo un rapporto di amicizia che è venuto consolidandosi nel tempo, anche perché, oltre alla mia presenza diretta a Bose, l’ho frequentato per diversi anni, partecipando alle riunioni bimensili del comitato di redazione della rivista Servitium. Per tutte queste ragioni sono rimasto sconcertato e profondamente addolorato per quanto è avvenuto e sento, di conseguenza, il bisogno di avanzare alcune riserve e di sollevare alcuni interrogativi tanto a proposito degli interventi vaticani quanto del comportamento della comunità.
Mi è parso, anzitutto, incomprensibile che, per risolvere un conflitto interno tra Enzo e l’attuale priore Luciano Manicardi, si sia sentito il bisogno di fare ricorso a Roma, anziché ricercare una composizione, magari con l’aiuto di qualche esterno che facesse da arbitro (sono tanti gli amici autorevoli, monaci e laici, che avrebbero potuto fornire la propria mediazione). Ma ancora piú incomprensibile mi è parso il modo con cui la Segreteria di Stato è intervenuta con un decreto inappellabile, che suona come un diktat il quale ci riporta a tempi bui del passato che ritenevo, dopo il Concilio, definitivamente superati. E grandi (e gravi) perplessità ha suscitato in me la mancata reazione della comunità nei confronti di tale provvedimento, dando anzi l’impressione di accoglierlo senza alcuna esitazione, con un comportamento che non esito a definire lesivo di quella parresía, che ha sempre costituito un carattere distintivo dell’esperienza di Bose.
Molto ci sarebbe poi da dire a proposito dei vari comunicati, che non hanno mai chiarito i motivi del contendere soprattutto nell’ultima fase: alludo a quelli in cui si fa propria la decisione di padre Cencini (difficile dire quale sia stato il suo ruolo, ma da quanto si evince dai provvedimenti adottati non sembra sia stato un ruolo pacificatore) di affidare a Enzo in comodato d’uso la residenza di Cellole. Il tono di quel comunicato (e anch e del successivo che rimprovera ad Enzo di non avere accettato l’offerta capestro) è, a mio avviso, sconcertante. Sembra quasi si sia trattato di una benevola concessione, fatta con sacrificio, quando è risaputo quanto determinante è stato il ruolo di Enzo nella acquisizione e nella trasformazione di quella struttura (come del resto di tutte le altre).
Ma, venendo alla situazione odierna di Enzo, considero il trattamento che gli è stato riservato disumano (peraltro in aperto contrasto con le Carte dei diritti umani, non ultima la Convenzione europea, che fa del diritto alla difesa un cardine fondamentale). L’ingiunzione contenuta nel decreto vaticano di lasciare nel giro di pochi giorni Bose, di cui Enzo è stato il fondatore e alla cui crescita ha fornito un contributo assolutamente determinante non può che lasciare stupefatti. Come è possibile chiedere a Enzo (e con lui ad altri due fratelli e a una sorella) dall’oggi al domani l’abbandono della sua creatura, dopo oltre cinquant’anni di permanenza e per di piú in una condizione precaria di salute?
Meraviglia inoltre l’assenza di reazione alla richiesta vaticana da parte della comunità; anzi – come risulta dalla lettura dei comunicati – con il suo aperto consenso al provvedimento. Il che contraddice lo spirito che ha caratterizzato fin dall’inizio uno dei tratti qualificanti di Bose, cioè l’apertura incondizionata a tutti. Che questo comportamento non sia stato assunto nei confronti del proprio fondatore appare paradossale!
Conoscendo Enzo e la sua forte personalità non mi sorprende che possa aver reagito con durezza, anche con qualche intemperanza, ai cambiamenti che con il nuovo priorato andavano sviluppandosi all’interno della comunità, ma questo non può giustificare un atto tanto drastico (e torno a dire disumano) come l’espulsione. Non è forse il perdono e la riconciliazione la via che va percorsa da chi si dichiara cristiano e per di piú monaco?
————
Lettera inviata alla rivista Rocca, pubblicata sul profilo facebook il 10.3.2021