Cari amici del Gallo

di Enrico Peyretti

Pubblichiamo con apprezzamento la risposta di Enrico Peyretti, uno dei piú autorevoli esponenti del movimento nonviolento italiano già intervenuto nel nostro dibattito, alla Proposta stravagante di Giannino Piana e Fabrizio Filiberti apparsa sul Gallo di dicembre.

Cari amici del Gallo,
sono contento e vi ringrazio di questo intervento, che scava nella ricerca di alternative ai metodi omicidi per difendere giusti diritti.
È vero, è lunga la formazione di una popolazione alla difesa forte con i metodi nonviolenti, quali: la disobbedienza al potere ingiusto, il boicottaggio materiale dei mezzi dell’aggressore senza colpire le persone, la intensa non-collaborazione, la solidarietà internazionale, e soprattutto l’unità popolare nella convinzione di non voler subire la violenza, ma senza replicarla, e nel coraggio di affrontare sacrifici e sofferenze, che sono sempre minori e piú degni dei dolori e danni della guerra.
È vero, la vostra proposta è un cammino di crescita politica, cioè di qualità della polis umana, che si emancipa dai metodi omicidi. È un cammino lungo, ma non privo di valide reali efficaci esperienze storiche di difesa giusta non armata e nonviolenta.
Affidare all’esercito – istituzione tradizionale, organizzata, solida, molto finanziata a scapito di altre esigenze importanti – la difesa senza le armi? L’idea merita l’attenzione che voi le dedicate. Sarà necessaria una cultura della forza nonviolenta, che oggi non è nell’esercito, ma l’idea non è da rifiutare. Negli anni passati si tentarono iniziative di formazione alla nonviolenza attiva ed efficace del personale della polizia, ma non trovarono sostegno interno, e la necessità ci sarebbe, come ogni tanto purtroppo si vede.
Io credo che non basti lasciare il fucile in caserma, come lo lasciava in trincea Guido Plavan, valdese, nella prima guerra mondiale – cercate la sua storia, che è all’origine del MIR* italiano – e molti altri soldati evitarono di uccidere: ci vuole una formazione che attinge alla tradizione già antica, ma sviluppata nei nostri tempi dal movimento e dalla cultura gandhiana.
Per Gandhi i diritti delle persone e dei popoli devono essere fortemente difesi: egli afferma che la viltà passiva è peggiore della violenza difensiva, e tuttavia dobbiamo superare ogni violenza, imparando ed esercitando la «forza della verità», per essere degni. La sua scuola è oggi piú preziosa che mai, perché la logica di guerra, anche quando si vuole giustificarla, porta tutti sempre piú vicini alla ecatombe nucleare. Il che dimostra la radicale irreparabile disumanità della guerra, ormai del tutto ingiustificabile: «alienum a ratione», come disse già Giovanni XXIII nel 1963, «follia» come dice oggi papa Francesco.
Conflitto non è sinonimo di guerra: è una differenza, una tensione tra valori ed esperienze umane, che, se gestito in modo costruttivo e non distruttivo, arricchisce l’esperienza umana, come ci mostra il dialogo tra le culture e civiltà.
L’obiettivo davvero umano è abbandonare, abolire storicamente e politicamente, l’istituzione guerra, che è controproduttiva rispetto alla difesa della vita e dei diritti umani, e della stessa natura. Grazie a voi di questa ipotesi che non è facile, ma merita di essere elaborata, e grazie a tutti quanti, senza scoraggiarsi, senza disperare, si impegnano da ogni punto di vista a emancipare l’umanità dal «flagello della guerra» (Statuto dell’Onu) e dalla vergogna di ucciderci tra noi.
Grazie!

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* Movimento Internazionale della Riconcialiazione, movimento internazionale a cui aderiscono persone che praticano la nonviolenza attiva nella vita quotidiana.