Clericali e liberisti contro Francesco

di Mauro Felizietti

È atto nella Chiesa un passaggio assai delicato, forse non da tutti avvertito nella sua reale dimensione. All’interno della comunità cristiana convivono, per ora, posizioni che rischiano di diventare inconciliabili. Se all’epoca del Concilio il dissenso riguardava la critica a una Chiesa gerarchica non aperta alle condizioni di povertà ed emarginazione dei popoli del mondo, ora, al contrario, il dissenso si accentra sulla figura di papa Francesco, per la sua costante attenzione alle condizioni disumane in cui versano le periferie del mondo. L’attacco proviene da fronti diversi, ma accomunati da una matrice reazionaria e conservatrice.

I primi ad accusarlo di essere comunista sono stati i propugnatori del liberismo economico senza regole di marca statunitense, appoggiati da comunità evangeliche fondamentaliste e da settori del cattolicesimo conservatore, che non gradiscono la sua linea, giudicata troppo sensibile ai temi della giustizia sociale. In pratica, il papa deve occuparsi di anime; il capitalismo finanziario non può essere messo in discussione: le sue regole sono assolute e intangibili. Anche l’enciclica Laudato si’ ha suscitato reazioni contrastanti. Accolta favorevolmente dalle organizzazioni cattoliche impegnate, in nome del Vangelo, a difendere territori distrutti e comunità umane depredate, è stata contrastata dai potentati economici che traggono profitto dalla devastazione di popoli e risorse. Ma l’attacco al papa argentino non si limita ad avversari esterni.

Anche all’interno della Chiesa la situazione è tutt’altro che tranquilla. Le truppe ultra-tradizionaliste dei seguaci di Marcel Lefebvre e dei movimenti anticonciliari, feroci oppositori dell’ecumenismo e del dialogo interreligioso, manifestano la loro ostilità alla linea bergogliana non riconoscendo, di fatto, il ruolo – si parla di sede vacante – e addirittura la validità dell’elezione (come si intestardisce a fare il confuso Antonio Socci, al quale peraltro Francesco ha personalmente scritto una lettera). In pratica, l’accusa di queste frange oltranziste è che il papa attuale non è cattolico, anzi è praticamente un eretico, perché si allontana dalla dottrina secolare della Chiesa.

L’opposizione al papa si estende anche a gruppi e movimenti ancor piú interni alla compagine ecclesiale, alcuni dei quali non hanno ancora metabolizzato la mancata elezione al soglio di Pietro del loro candidato. Non è gradito il modello di Chiesa che papa Francesco ha in mente, in cui il popolo di Dio è il protagonista. Un cambio di paradigma in linea con le acquisizioni del Vaticano II, ma osteggiato da quanti vagheggiano un ritorno alla Chiesa medievale o tridentina, con le sue liturgie, riti, latino, pratiche religiose devozionali di fatto lontane dal Vangelo. Sono fautori del clericalismo piú assoluto, anche se spesso si tratta di laici immaturi, in cerca della rassicurante figura clericale da cui dipendere: Gesú Cristo evidentemente non basta.

Vivono i rapporti personali in modo tribale: il movimento e il gruppo stanno al primo posto, tutto il resto è funzionale a questa priorità assoluta. Altri punti che hanno suscitato reazioni non sempre positive da parte di tali formazioni: l’attacco del papa alla corruzione nella Chiesa, come anche la richiesta di pastori che stiano in mezzo al popolo, la scomunica dei mafiosi, la riforma delle finanze vaticane. Poco gradita è risultata la sconfessione di ogni criterio gerarchico nelle nomine cardinalizie ed episcopali, contro ogni forma di carrierismo, come testimoniano quelle di Bologna e Palermo. La stessa scelta di vivere non nelle stanze pontificie, ma nei locali semplici di Santa Marta è stata interpretata sfavorevolmente, perché indegna del vicario di Cristo. Un fattore che ha scatenato la reazione anche nelle alte sfere ecclesiastiche è stato il sinodo sulla famiglia: a lungo l’ala conservatrice piú intransigente ha coltivato l’obiettivo di mandare a monte il progetto riformista del papa che metteva fuorigioco la dottrina concepita come ideologia. Bergoglio ha dato indicazione, senza cambiare la dottrina, di aprire le porte a tutti: divorziati, conviventi, omosessuali. Non un’assenza di regole, ma il ritorno al fondamento della fede cristiana: il perdono e l’accoglienza. E su questo si è aperta una battaglia cruciale nella Chiesa che ha scatenato la reazione dell’integralismo piú ostinato, rappresentato da alcuni cardinali curiali e diocesani, abili nel non usare il linguaggio aggressivo e feroce di certi gruppi e siti internet, ma piú felpato secondo lo stile clericale. Non meraviglia piú di tanto allora che nel sottobosco del web, di gruppi e associazioni fondamentaliste, il papa diventi una specie di anticristo, un diavolo che si è infiltrato al vertice della Chiesa cattolica; ambienti marginali dai quali trapela però un clima pesante, una pericolosa aggressività mal repressa. Si tratta spesso di gruppi e movimenti che trovano la loro identità solamente se esiste l’avversario da combattere: non a caso amano definirsi crociati, legionari, militi, sentinelle. Solo che in questo caso rivolgono i loro strali non solo al nemico esterno ma anche a quello interno alla Chiesa. Sono il sintomo di un malumore crescente contro Francesco e i suoi collaboratori.

Questa linea reazionaria e fanatica deve comunque fare i conti con il diffuso consenso che accompagna il papa argentino, in cui le folle di scartati, di marginali, ritrovano una guida e un riferimento in un mondo regolato dal potere di una economia disumana, come anche da una diffusa cultura che privilegia il successo, il potere e l’immagine. In questa linea di rinnovamento va inserita la dichiarazione di papa Francesco sulla riabilitazione di Oscar Arnulfo Romero, il vescovo assassinato da gruppi armati di estrema destra in Salvador nel 1980 e divenuto un simbolo della lotta evangelica contro l’oppressione dei piú poveri. Il suo martirio, ha detto il papa, è proseguito anche dopo la morte: Una volta morto – ero giovane sacerdote e ne fui testimone – fu diffamato, calunniato, infangato. Il suo martirio continuò anche da parte di suoi fratelli nel sacerdozio e nell’episcopato. Non parlo per aver sentito dire. Ho ascoltato queste cose. Una dichiarazione chiara, ma anche sofferta, che riassume le difficoltà a riconoscere, anche nella Chiesa, la linea profetica della fedeltà a Cristo, osteggiata da chi usa il Vangelo per i propri interessi.