Congressi e sondaggi

di Ugo Basso

Nello scenario mondiale oscurissimo e da cui anche noi rischiamo di essere travolti, possiamo soltanto prendere posizione attraverso valutazioni formulate con la biblica purezza del cuore, liberi da appartenenze e interessi. E non è cosí facile, mentre al nostro paese dobbiamo qualche impegno piú articolato. A monte del giudizio di ciascuno, abbiamo sempre cercato di offrire strumenti per comprendere quello che accade di cui non sempre ci accorgiamo o di cui non consideriamo le conseguenze.
Due argomenti: i congressi dei partiti e i sondaggi di opinione. Da decenni nessun partito si riunisce a congresso: quello recente di Forza Italia è stato un’apologia del fondatore e una legittimazione del successore, senza confronti di posizioni interne; qualcosa di piú ha fatto il PD all’inizio del 2023 per l’elezione, con la discutibile partecipazione anche dei non iscritti, del nuovo segretario. Parlo d’altro: qualcuno ricorderà i congressi del passato che riunivano per alcuni giorni – nei quali veniva addirittura sospesa l’attività parlamentare – i delegati portatori delle istanze della base e i loro rappresentanti nelle istituzioni. Accesi dibattiti con grande copertura mediatica seguiti dall’opinione pubblica in cui si dibatteva la linea del partito, gli errori e i risultati ottenuti e si concludevano con l’elezione del segretario: vivaci discussioni seguite con volontà di conoscenza e di partecipazione sovrapposte al calcio anche nei bar, da cui era sparita la scritta «Qui non si parla di politica».
Nulla è esente da difetti e, come qualcuno ha detto, la democrazia è solo per gli angeli: comunque erano vitali segni di dibattito politico coinvolgente l’opinione pubblica, un invito a prendere posizione, a scegliere, a considerare i risultati, a farsi idee sui personaggi che, dalla maggioranza o dall’opposizione, avrebbero guidato la politica nazionale. Dunque una vitalizzazione del parlamento, dove confluivano i risultati dei dibattiti, fino ai coinvolgenti confronti televisivi tra gli esponenti politici e i giornalisti con possibilità di replica, dibattiti attesi, seguiti anche con amici, occasione per pensare e discutere, consentire o dissentire. Strumenti stimolanti per la partecipazione e il voto.
Oggi la politica ha una direzione oligarchica, riservata a quattro, forse cinque personaggi, che tendono a ottenere il consenso degli elettori essenzialmente attraverso slogan e figure di richiamo di cui spesso neppure si conoscono pensiero e progetti. Perfino i simboli elettorali si personalizzano con il nome dei leader che sempre piú abbandonano il “noi” delle decisioni assunte insieme per imporre il pronome “io”, autoritario e deresponsabilizzante fino al noto “ghe pensi mi”, cioè: non interferite nei miei affari.
E diciamo dei sondaggi, che probabilmente piacciono tanto anche a noi. Ho visto ascrivere con plauso all’intelligenza politica di Berlusconi il governare fondandosi sui sondaggi, come avviene ancora ampiamente. Chi pensa ha bisogno di ragionare, confrontare, porsi obiezioni, prevedere risultati, verificare vantaggi e danni: operazioni certo lunghe e difficili, quelle affidate dalla costituzione ai cosiddetti corpi intermedi: parlamento, banca d’Italia, vari organismi di controllo, ma anche partiti e sindacati.
I sondaggi – anche sul gradimento di singoli personaggi – sarebbero strumenti del rilevamento immediato della volontà popolare: un inganno, perché il cittadino è chiamato a esprimersi su questioni che non conosce e non può conoscere. Dunque si giocano sull’emotività, la simpatia ottenuta con i mezzi piú diversi, la diffusione di promesse e di speranze, tacendo la necessità di impegni collettivi, talvolta sgradevoli, e le conseguenze catastrofiche di certi provvedimenti, magari non al presente, ma per i figli.
Aggiungo due noticine (nel senso di poche righe, non di piccoli problemi): caratteristica della politica del nostro tempo la frequenza delle elezioni. Non è democratico consultare il popolo? A parte la già accennata difficoltà di informare correttamente gli elettori, questa frequenza di consultazioni nazionali o locali è gradita a chi intende la politica come permanente campagna elettorale. La campagna elettorale, essenziale per la democrazia, è opportunamente prevista di poche settimane: tempo di comizi, di promesse, di attacchi reciproci e di impegno degli esponenti dei diversi partiti sulle piazze lontano dagli uffici in cui dovrebbero svolgere il loro lavoro. Campagne che di fatto impediscono una politica fatta di studio e di lavoro, di scelte responsabili, mentre la preoccupazione di ottenere voti, o anche solo sondaggi favorevoli, si fa piú pressante di quella del buon governo.
La democrazia non si può ridurre alla consultazione popolare, né il vincitore delle elezioni può «prendersi tutto»: il vincitore delle elezioni (nell’Italia di oggi raccoglie il consenso di circa il 20% degli italiani, considerando che quasi metà degli aventi diritto al voto non lo esercita) ha il compito di governare, non il diritto di esercitare una dittatura della maggioranza. I cittadini sono tutti e sempre sovrani, con diritto alla dignità, al rispetto, all’efficienza, alla solidarietà.