Crisi della poesia?

di Davide Puccini

 

Di una crisi della poesia in Italia si parla da tempo. Avvenire ha dedicato all’argomento una lunga serie di interventi. Non si tratta tanto di un problema di qualità, perché i buoni poeti non mancano, quanto di una situazione paradossale piuttosto nota: l’esercito di coloro che scrivono poesia si ingrossa continuamente a dismisura, mentre coloro che la leggono sono una schiera sparuta che si impoverisce sempre piú. Il fenomeno si basa su un equivoco: la convinzione che per scrivere poesia, in realtà la piú difficile e raffinata delle arti che hanno a che fare con la parola, basti andare accapo. E poiché l’ignoranza va spesso a braccetto con la presunzione, questi sedicenti poeti non leggono poesia ritenendo di non aver nulla da imparare dagli altri. Cosí, dal momento che la poesia è un genere che non vende, gli editori la pubblicano sempre meno o la pubblicano soltanto a pagamento, talvolta facendo leva sull’ambizione dell’autore per indurlo a sborsare una cifra ben superiore al semplice costo di stampa, senza assicurare in cambio alcun reale servizio di promozione e distribuzione. Ma questo è solo un aspetto del problema, quello piú visibile per i suoi risvolti, diciamo, sociologici.

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