Da Banksy a Obey o della militanza artistica

di Erminia Murchio

Nel marzo scorso anche il Palazzo Ducale di Genova aveva dovuto chiudere le porte, a causa della pandemia, quando era ancora visitabile la mostra su Banksy, un evento importante per Genova e per l’Italia, perché era una esposizione diversa da altre realizzate sull’ormai famosissimo artista inglese (Il gallo, febbraio 2020). Cosí apprezzata che ha viaggiato per il paese e, con alcune modifiche, è stata riproposta a Ferrara e, attualmente, a Palermo. Genova – possiamo dire – ha fatto da apri-pista, come in altre occasioni in precedenza (cito solamente il compianto Germano Celant, genovese, e la sua Arte Povera) e, come da tradizione, sul piano nazionale hanno avuto piú risonanza, piú megafono, piú visibilità gli altri appuntamenti che non quello della città della Lanterna. Ma questa è un’altra storia.

Arte e solidarietà

Banksy, invece, continua a occupare le pagine dei giornali (e non solo quelli di arte), sia perché lo si è potuto conoscere e ammirare anche a Roma ai Chiostri del Bramante, questa estate; sia per l’ennesima controversia legale sull’utilizzo del marchio/vendita sue opere/royalties/tassazioni; sia, ancor di piú, per il suo impegno diretto sul problema migrazione.
Ha fatto scalpore la sua iniziativa in merito: nel 2019 ha finanziato l’acquisto di uno yacht veloce di 31 metri, la sua armatura, ivi compreso il mural (dipinto sulla fiancata) della solita bambina – rosa fucsia, al posto del palloncino… un salvagente – per soccorrere nel Mediterraneo i fuggitivi dall’Africa.

Sono un artista del Regno Unito e ho fatto alcune opere ispirate alla crisi dei migranti. Ovviamente non posso tenere per me i soldi…

con questa mail a Pia Klemp, capitana di varie barche di ONG, Banksy ha dato l’avvio a una delle sue azioni politiche.

Continua sul Gallo stampato… e nel seguito:

  • Non possiamo non pensare
  • Il mezzo è il messaggio
  • I temi portanti
  • Illegalità provocatoria