Diritti non privilegi

di Enrico Gariano

Anno 1969. Un gruppo di una trentina di giovanottini è stato appena assunto dal Comune di Genova, e tra questi ci sono anch’io. Tutti emozionati per l’avvenuta realizzazione di un sogno a lungo carezzato: un impiego fisso che consenta ora a ciascuno di programmare con piú possibilità di riuscita, la propria vita. È un momento magico. Il boom economico è alla fine, ma non ancora scomparso del tutto dall’orizzonte e i delegati sindacali ci informano, con comprensibile esultanza, che una delle loro ultime vittorie in ordine di tempo consiste nell’abbassamento dell’età pensionabile: quattordici anni, sei mesi e un giorno. Questo mitico unico giorno consente di computare come se fossero stati effettivamente eseguiti, ben sei mesi di lavoro. Quindi: pensione all’orizzonte dopo neanche quindici anni di pieno lavoro!
Tra noi scherziamo affermando che, se non proprio i nostri figli, quantomeno i nostri nipoti, di questo passo timbreranno il cartellino di ingresso il lunedí mattina per poi, con la timbratura del sabato a mezzogiorno, concludere l’intero loro percorso lavorativo, durato una settimana – sempre salvo malattia – e iniziare a godersi l’agognata pensione!
E veniamo a conoscere anche i sindacati. Tutta la Triplice si è messa sulle nostre tracce in cerca di nuovi iscritti. Uno di questi accalappiatori, un collega con il quale manterrò buoni rapporti per tutto il mio arco lavorativo (senza però iscrivermi mai ad alcuna organizzazione sindacale), un bel giorno, chiacchierando a tu per tu, mi dice: «Non ti sei ancora reso bene conto di che fortuna hai avuto. Di qui, anche se rubi, non ti manderà mai via nessuno».
Questa frase mi sorprende molto, ma non lo lascio vedere. Voleva solo che comprendessi che l’essere diventato un comunale era come l’aver vinto un terno al lotto, ma era l’esempio utilizzato che mi lasciava perplesso. Forse perché, ex alunno di scuola privata condotta da religiosi unitamente a una mia pluriennale permanenza nell’Azione Cattolica, mi trovavo ad aver ricevuto una mentalità etica molto semplice e lineare: in caso di comportamento censurabile o, ancor peggio, se avessi compiuto azioni contro la legge, avrei dovuto aspettarmi come logica conseguenza una giusta punizione. Punto e basta.
Ora invece venivo a scontrarmi con un qualcosa di nuovo, di inaspettato: ero entrato in una sorta di zona franca del privilegio. Avrei avuto poi negli anni successivi molte volte l’occasione di constatare quanto quell’affermazione fosse vera. A distanza di piú di mezzo secolo credo di essere nel giusto nel pensare che uno dei motivi principali della crisi di credibilità dei sindacati sia stata proprio questa: la difesa – senza se e senza ma – di tanti lavoratori che veramente altro non avrebbero meritato, dopo essere stati scoperti, che di essere licenziati.