Dulce bellum inexpertis
di Maria Grazia Marinari
Dopo l’11 settembre, anche per reagire agli articoli – a mio parere – guerrafondai di Oriana Fallaci, avevo pensato di proporre sulle pagine del Gallo una rubrica Scrittori che dicono no alla guerra. Avevo scelto dicono no invece di contro per cercare di evitare termini bellicosi. Purtroppo non sono stata capace di rendere quest’idea attrattiva e, dopo qualche tentativo, sono stata convinta a desistere. Resto tuttavia profondamente convinta della capacità dell’arte e della letteratura di coinvolgere e far pensare.
Sviluppare una cultura di pace è un compito tanto necessario e ineludibile quanto difficile e faticoso, soprattutto perché doveroso innanzi tutto verso sé stessi. Lo sperimentiamo in modo concreto e doloroso in questi mesi angosciosi di guerra vicina: la reazione immediata è schierarsi, demonizzando quella che viene assunta come controparte e dimenticando la colpevole indifferenza di anni verso le guerre minori o lontane che hanno continuato a insanguinare terre piú o meno distanti dalle nostre.
Avrei voluto in particolare ricordare quanto scritto da Ryszard Kapuscinski e Tiziano Terzani: due ex-reporter di guerra che, avendola vissuta da vicino, ne conoscevano bene gli aspetti piú tragici e devastanti e, a differenza della collega Oriana Fallaci, non ne subivano il fascino, ma anzi proprio dalle esperienze vissute sul campo avevano maturato un profondo gusto della pace. Ribadendo cosí, a cinque secoli di distanza, quanto ricordato da Erasmo da Rotterdam negli Adagia con il motto di Vegezio: «Dulce bellum inexpertis » (la guerra è bella per chi non la conosce).
Essere costruttori di pace non è facile, richiede un impegno non indifferente e soprattutto la capacità di mettersi in discussione in modo onesto, obiettivo, non indulgente e autoassolutorio.
Nel protestare contro una guerra, possiamo credere di essere una persona pacifica, un vero rappresentante della pace, ma questa nostra presunzione non sempre corrisponde alla realtà. Osservando in profondità, ci accorgiamo che le radici della Guerra sono presenti nel nostro stile di vita privo di consapevolezza. Se noi non siamo in pace non possiamo fare nulla per la pace (Tchich Nhat Hanh).
Solo dei cervelli poco sviluppati, nel terzo millennio, possono pensare alla Guerra come uno strumento accettabile per la risoluzione dei conflitti (Gino Strada).
Beati i costruttori di pace, perché saranno considerati figli di Dio (Matteo 5, 9).