2023 dicembre
Rappresentare la terra con una cartografia incentrata sull’Europa e orientata verso il nord è una convenzione, come lo era nel medioevo assumere Gerusalemme a centro del mondo, oppure oggi, negli Stati Uniti, collocare l’America nel bel mezzo del planisfero e spezzare l’Eurasia dislocandone una parte a occidente e l’altra ai margini orientali. Ma guardare le cose da una insolita prospettiva è sempre utile e straniante, ed è proprio un esercizio del genere quello che Lucio Caracciolo propone nell’editoriale di settembre di Limes, invitandoci a rovesciare le nostre carte e a mettere il nord in basso e l’Africa in alto. L’incombere di una gigantesca questione meridionale apparirebbe allora in tutta evidenza, mentre la posizione piú defilata del nostro continente suggerirebbe agli occhi e alla mente inconsueti punti di vista e al cuore, forse, briciole di umiltà.
Se nel secolo passato un involontario e condiviso pregiudizio ci faceva apparire ovvio che l’Europa stesse sopra e l’Africa sotto, oggi si comincia a percepire che la forza di gravità funziona sempre allo stesso modo, anche nell’emisfero australe, e dunque ci deve essere una sorta di legge naturale in questo precipitare di carrette del mare e di persone da sud a nord, qualcosa che ha a che vedere con il principio dei vasi comunicanti.
È puerile, insomma, evocare oscuri piani di sostituzione etnica nel ricorrente fenomeno storico delle migrazioni; e se ieri i nostri paesi rovesciavano l’eccesso di popolazione in territori sottopopolati o comunque attrattivi per altre ragioni, oggi le emergenze climatiche, le guerre, i dissesti economici e lo squilibrio demografico favoriscono il percorso inverso.
C’è dunque un che di ineluttabile nel compensare il decremento di natalità dell’Italia e delle nazioni vicine con il baby boom di altri continenti; tanto piú che l’età media nell’Unione Europea si attesta sui 44 anni, mentre in Africa non raggiunge nemmeno i 19, con una prevista accentuazione del divario numerico per gli anni a venire. L’esperienza insegna che nessun argine arresta le pressioni migratorie, se perfino l’impero romano, dopo avere sperimentato tutte le forme di dissuasione – inclusi i massacri indiscriminati – dovette in ultimo venire a patti con i barbari e concordare il loro ingresso oltre i confini, fino a concedergli posti di potere.
Ma non basta ribaltare le mappe e le convenzioni per accettare senza isterismi una realtà problematica per tutti e ostile a molti; non bastano le ragioni dell’economia, le mediazioni politiche e le trattative internazionali; non basta neppure l’umanitarismo solidale dei cristiani e delle sinistre sociali: non basta niente di tutto questo se persistono in noi, palesi o nascosti o anche inconsapevoli, sottili sentimenti di superiorità di costumi e venature di paternalismo che impediscono di vedere nello straniero povero una persona di pari dignità e diversa ricchezza culturale. Perché il nostro tenore di vita, le nostre conoscenze, la nostra civiltà giuridica e la nostra apertura mentale sono sí beni preziosi, ma lo sono anche il senso comunitario e la fiducia nel futuro che spinge i giovani del sud del mondo a rischiare vita e risorse sulle piste del deserto e sulle onde del mare: preziosi antidoti, questi, al pessimismo e allo sterile individualismo della vecchia Europa.
E in questi giorni di luminarie e di carole ci auguriamo allora un dono non superfluo nell’abbondanza di chi ha tutto: riscoprire nel Natale l’evento imprevedibile e sconcertante che apre alla fraternità e all’accoglienza di chi ha molto da ricevere e molto da offrire.
i Galli