2022 marzo

Abbiamo vissuto due anni di pandemia e qualcuno si chiede se non siamo destinati a un contagio permanente, o al susseguirsi di contagi da cui forse nessuno sarà risparmiato, mentre altre gravi ragioni di preoccupazioni oscurano i nostri orizzonti, facendoci magari trascurare rischi pandemici non estinti. La pandemia, come la guerra che ancora non sappiamo quali proporzioni economiche e militari potrà assumere, sono manifestazioni della nostra fragilità, ma anche conseguenza di atteggiamenti superficiali e irresponsabili.
Anche durante questo tempo tra lutti e sofferenze, timori e fatiche non mancano tuttavia espressioni di ottimismo: andrà tutto bene, il vaccino risolverà tutto, la diplomazia taciterà le armi, la guerra resterà lontana e si esaurirà rapidamente. Si dice che l’ottimismo fa bene alla salute: eppure, durante la guerra in Vietnam, un viceammiraglio della marina statunitense detenuto per piú di sette anni in una prigione nordvietnamita notò che, tra i suoi compagni di cella, quelli che non ce la facevano a sopravvivere alle condizioni di vita tremende di solito erano i piú ottimisti del gruppo. Anche durante il Covid-19, alcune delle persone che se la sono cavata meglio erano assolutamente pessimiste riguardo al mondo esterno: senza preoccuparsi di ciò che accadeva fuori, si sono concentrate su come resistere.
Uno spessore ben diverso è nella speranza: se l’ottimismo è la convinzione, caratteriale e istintiva, che le cose alla fine andranno bene; la speranza è la convinzione che si possa comunque agire per migliorare le cose in un modo o nell’altro, perché difficilmente vanno bene per conto loro. La speranza sostiene una concezione dinamica che non tollera immobilismi e neppure connivenze per quieto vivere. La speranza non deve venir meno nella crisi, ma soprattutto opera ogni giorno nell’assidua vigilanza su ogni azione: all’esplosione tragica si arriva quando qualcuno trova campo per le proprie aggressioni in situazioni di ingiustizia, di errori di decenni che forse erano sfuggiti anche a noi.
È animato dalla speranza chi lavora nella sanità pur nelle condizioni proibitive di strumenti, di spazi, di tempi anche conseguenza di cattiva organizzazione, di finanziamenti mal dirottati, di corruzione; in chi rifiuta le incompetenze, i privilegi, le attribuzioni di responsabilità per ragioni diverse dai meriti; in chi non antepone il successo economico all’interesse collettivo e rifiuta anche i compromessi considerati tollerabili; in chi si impegna nell’educazione dei ragazzi per insegnare a pensare e costruisce la pace nel quotidiano, in famiglia, nell’ambiente di lavoro, nell’accoglienza, nella tolleranza, nel controllare la veridicità delle notizie.
Per operare, per dare fiato alla speranza occorre per tutti la disponibilità a pratiche virtuose in coerenza con le scelte fondamentali:
– la ragionevolezza per un equilibrio tra razionalità e rischio;
– la credibilità, fatta di competenza e coerenza;
– il coraggio, per affrontare situazioni difficili e rischiose, e non farsi soverchiare dalla paura;
– l’immaginazione per vedere non solo la situazione presente, ma anche quella del domani;
– la solidarietà perché non ci si salva da soli e il mondo non finisce nel proprio cortile.
Virtú teologale, simmetrica alla fede, come ha ricordato papa Francesco in un’omelia da Santa Marta: un tema di riflessione per la quaresima.

i Galli