2023 marzo

Sono passati 50 anni dalla pubblicazione della legge 15 dicembre 1972, n 772 che riconosceva l’obiezione di coscienza al servizio militare, consentendo in sostituzione lo svolgimento di un servizio civile di piú lunga durata. In seguito, con la legge 8 luglio 1998 n 230 per gli obiettori il servizio civile diveniva alternativo al servizio militare e parificato a esso come «rispondente al dovere costituzionale di difesa della Patria».
Se l’obiezione di coscienza è storicamente diventata oggetto di dibattito a proposito della leva obbligatoria, il problema del diritto del cittadino di sottrarsi, per esigenze etico-morali, alle imposizioni di una legge riguarda anche altri ambiti. Per esempio, l’obiezione di coscienza nei confronti della sperimentazione sugli animali è tutelata dalla legge 12 ottobre 1993, n 413, mentre per l’interruzione volontaria della gravidanza (IVG), di ben piú ampia portata, è tutelata dalla legge 22 marzo 1978 n 194.
La storia dell’obiezione di coscienza ci riporta al divieto imposto nel III secolo ai battezzati di arruolarsi e di combattere. Il primo grande obiettore di coscienza di cui si hanno notizie è san Massimiliano di Tebessa, che nel 295 d.C. venne condannato dal proconsole Dione e giustiziato. Sono seguiti secoli in cui di questo movimento si è quasi persa traccia, fino talvolta addirittura a porre come dovere al cristiano di combattere in armi per la fede e per la patria. Cosí il movimento degli obiettori, che ha preceduto e favorito le leggi citate, ha avuto forza e risalto pubblico nel ventesimo secolo, non piú esclusivamente connesso a disposizioni religiose, grazie a uomini di alta coscienza e grande coraggio fra cui Aldo Capitini (1899-1968), fra i primi teorizzatori in Italia della nonviolenza come prassi di difesa attiva e Lorenzo Milani (1923-1967) con il suo celebre saggio L’obbedienza non è piú una virtú.
Abbandonata la leva obbligatoria, oggi in Italia si discute sull’obiezione di coscienza soprattutto riguardo alla legge 194, che definisce le procedure per il diritto all’interruzione volontaria della maternità, perché il rifiuto soggettivo di una disposizione di legge può determinare impossibilità o ritardi nella fruizione di un diritto: una contrapposizione di diritti. Non mancano le polemiche sulla serietà della motivazione di coscienza, con il sospetto che si tratti di una via per sottrarsi a un servizio sgradito o altre ragioni ancora meno nobili.
Con il riconoscimento dell’obiezione di coscienza come diritto, si è raggiunto un alto livello di civiltà e di rispetto dei cittadini, ma, nello stesso tempo, sembra giunto il tempo di riflettere sul significato e la portata di questo istituto giuridico acquisito nel complesso delle istituzioni, con norme specifiche, diritti, doveri e limiti, anche tenendo conto che lo Stato deve sempre assicurare a tutti e tempestivamente le prestazioni dovute per legge.
La materia è qualitativamente di primaria importanza, tale che potrebbe anche chiedere l’inserimento tra i principi costituzionali eticosociali. L’obiezione di coscienza come istituto di carattere generale dovrebbe essere riconosciuta a chiunque, non solo ai cittadini italiani, ogni volta che una persona, per obbedire alla propria coscienza, chiede di essere esentata da un particolare compito, accettando di conseguenza di poter essere assegnata ad altro incarico, anche in altra sede.

i Galli