Esperienza di dolore
di Enrico Gariano
Il romanziere Gabriele Di Fronzo ha scritto:
Ogni volta che uno scrittore inizierà un nuovo romanzo, saranno innanzi tutto lo sconforto e l’angoscia a sedersi accanto a lui.
Io estendo questo concetto anche a un semplice articolo, soprattutto se l’argomento è, come in questo caso, piuttosto triste. E mi domando: faccio bene a scriverlo? Potrà portare a qualche riflessione o sarebbe meglio lasciare perdere? Però qualcosa mi spinge ad andare avanti.
Per ognuno di noi la città ha dei luoghi che nel tempo si sono cristallizzati al nostro vissuto. Sono dei posti dove abbiamo provato intense emozioni. Ad esempio dove abbiamo incontrato per la prima volta colei che poi sarebbe divenuta nostra moglie (o viceversa), dove è iniziata o ha avuto fine un’amicizia, e cosí via. Ovviamente il discorso vale anche per chi ha vissuto o vive in campagna, per cui deve solo sostituire le vie con i viottoli tra i campi o con la piazza principale del paese. Per me, uno tra i molti di questi incroci con il destino, con le mie e altrui emozioni, è rappresentato dal termine della strada in cui abito, nel punto in cui essa si interseca con un’altra piú grande che conduce al centro città.
Qui, una mattina, incontrai un signore con il quale, di tanto in tanto, scambiavamo le classiche due parole. Al mio saluto, un asettico e impersonale: «Ciao, come va?», rispose: «Questa notte è morta mia moglie». Non è una risposta che uno si aspetta di ricevere per cui, sorpreso, non seppi ribattere che con queste parole: «Ma lo dici per scherzo?» E lui: «Ti sembra un argomento su cui scherzare?»
Se la mia prima frase fu una gaffe, ciò che dissi in seguito non fu piú intelligente: «Ma se l’ho incontrata ieri, ci siamo fermati pure a parlare!». Come se incontrare una persona il giorno prima fosse per lei una sorta di assicurazione per una lunga vita! Forse la nostra mente è piú disposta ad accettare la notizia della morte di una persona che non vediamo da lungo tempo che non di chi ci sta sotto gli occhi quotidianamente. Ma oltre alle ovvie condoglianze, e l’apprendere che l’evento era dovuto a malattia cardiaca, tutto finí lí.
Se non che, neanche a farlo apposta, sempre all’angolo della stessa via, poche settimane dopo lo incontrai nuovamente e, a seguito di un mio invito, ci sedemmo al tavolino di un bar, ed egli mi raccontò la sua situazione. Forse non aspettava altro, non so, fatto sta che le sue parole si trasformarono presto in un fiume in piena. Ovviamente non le ricordo tutte a memoria, ma moltissime sí e comunque ho ben conservato ciò che volevano esprimere.
«La scomparsa di mia moglie ha stravolto la mia vita. Posso dire che in parte sono morto anch’io. È tutto il mio mondo che è crollato. Se non temessi di far ridere, direi che anche la nostra casa si sta spegnendo.
L’appartamento è ormai pieno solo di silenzio, un brutto silenzio, il silenzio delle cose morte. Meno pulizia, il frigorifero che contiene pochi alimenti che raccontano come vive un anziano solo: cibi precotti o facili da cucinare, che spesso scadono o irrancidiscono e che poi devo buttare via. La cucina, quello che fu veramente il suo regno perché, da meridionale tipica amava molto trafficare tra i fornelli, non offre piú il benché minimo rumore. Prima, anche se ero in salotto o in un’altra stanza, sentivo il suo muoversi, lo spostare di piatti, pentole, stoviglie in genere, e infine la sua voce: lei che mi chiamava. Ora niente piú di tutto ciò. Cerco di stare fuori casa il piú possibile perché, quando rientro, non c’è piú lei ad attendermi. Nell’ingresso c’è un grande specchio che riflette chi entra, e io mi vedo come un anziano depresso, senza piú voglia o forza per reagire. Si fa presto a consigliare di voltare pagina, di non soffermarsi troppo sul passato; questi consigli vanno bene per chi è ancora relativamente giovane, ma dopo aver oltrepassato i settant’anni, cosa vuoi ricostruire? Tutti questi stati d’animo si concentrano poi nel momento in cui vado a dormire: un letto matrimoniale sfatto e rifatto alla buona da un solo lato; prima il suo respiro profondo (aveva la fortuna di addormentarsi subito) accompagnava il mio piú lento addormentarmi, ora attendo a lungo il sonno con lo sguardo fisso al soffitto. Adesso lei riposa a Staglieno. L’andare a trovarla mi costringe ad alzarmi dal letto e muovermi un po’, e ciò mi aiuta a distrarmi. È ben poca cosa, ma meglio che niente. Al ritorno, qualche acquisto. Nel pomeriggio, per lo piú, la televisione, ore di televisione».
Non mi aspettavo un cosí lungo sfogo, io gli offrii solo un partecipe ascolto. D’altra parte, che cosa dire? Vorrei poter concludere queste righe in un modo piú lieto, positivo. Ma purtroppo non saprei come fare perché da quel giorno non l’ho piú rivisto, mai piú. Spero sia riuscito a recuperare un po’ di serenità; pur tuttavia quell’angolo di strada per me si è ormai inciso nella mente come il luogo nel quale presi consapevolezza dell’esistenza di un dolore che spero di non dover mai sperimentare in prima persona.