Favignana, emozioni fra storia e colori
di Erminia Murchio
Non ero mai stata alle isole Egadi, che hanno costituito sempre una meta ambita: li conosco quasi tutti gli arcipelaghi che impreziosiscono, come veri e propri gioielli, le coste del nostro bel paese e delle sue isole maggiori. Ora ho colmato la lacuna e non ho bisogno nemmeno di chiudere gli occhi per ritrovarmi immersa in quella malia fatta di luce riverberante, di colori squillanti, di odori intensi, profumi inebrianti, suoni e silenzi, stelle luminosissime, grotte marine, fondali ricchi di foreste di posidonia e di pesci, cave con i giardini ipogei e, naturalmente, i Florio.
La presenza dei Florio
Inscindibile il legame tra Favignana e la storia, le imprese, l’impero di questa famiglia che ha trasformato l’economia dell’isola, rendendola il centro della pesca del tonno e della sua trasformazione, inscatolamento e distribuzione, nonché esportazione in tutto il mondo: una piccola terra sconosciuta, circondata dal Mediterraneo, divenuta famosa in tutti i continenti. La gratitudine, anzi, la devozione nei confronti dei Florio è ancora palpabile adesso, la si respira ovunque. Non solo nello Stabilimento, ex tonnara e luogo di produzione del prodotto finito; non solo nell’imponente palazzo Florio che accoglie chiunque sbarchi al porto da un traghetto, da un aliscafo; non solo nella piazza del municipio, ove troneggia la statua del Senatore Ignazio Florio senior; ma in ogni vicolo, ogni targa, ogni mattonella del selciato di questo paese intrigante che molto assomiglia a una casbah, non dissimile dal centro storico di Genova, solo piú luminoso, arioso, fatto di case basse, con i cortili che occhieggiano oltre gli usci, lasciando intravvedere atrii ricolmi di vasi e piante, con tavoli predisposti per il pranzo, incredibilmente freschi, arieggiati, ombrosi, nel bel mezzo di una rete di vicoli, piazzette, angoli, salite e discese, letteralmente bagnati dal sole, dalla luce, dal caldo.
Quando ero piccola, la bottiglia di marsala, che non mancava mai nel mobile bar di casa, era di marca Florio, ma cosí succedeva anche nelle case dei vicini o delle famiglie delle mie amichette della via. Lo stesso accadeva se si andava dai parenti in Piemonte (pur produttori di bibite e spiriti): il marsala, immancabilmente, non poteva che essere Florio. Nel mio immaginario mi ero fatta l’idea che, cosí come le automobili in Italia erano, fondamentalmente, FIAT, similmente il vino liquoroso che la mamma usava per sbatterci l’ovetto che ci avrebbe fatto crescere, forti e sane, era… Florio. Ignoravo, ovviamente, tutto il resto: le saline di Marsala; le linee di transatlantici; i traffici commerciali; le banche; le miniere; i cantieri navali; l’industria della ceramica… e la geniale intuizione e invenzione per conservare piú a lungo il tonno, rendendolo, anche, piú morbido e gradevole, nonché, piú facilmente vendibile nei mercati esteri: cioè, invece che essicarlo e salarlo, cuocerlo in enormi pentoloni (già fatto a pezzi) e, successivamente, inscatolarlo in lattine, riempirle di olio di oliva e chiuderle ermeticamente. Pronto a solcare nuovamente i mari!
Ovviamente quel cognome non richiamava nella mia mente lo sfavillio delle cene e dei balli organizzati da donna Franca Florio (la Stella d’Italia) nelle varie ville e palazzi, né la sua mitica collana di perle, né la sua bellezza immortalata dal pittore piú ambito e ricercato dalle nobildonne italiane e parigine della bella époque, quel Giovanni Boldini che noi genovesi possiamo agevolmente ammirare nei Musei di Nervi. Un marchio, una famiglia, un’epopea tornata alla ribalta grazie anche a quel fenomeno letterario rappresentato da I leoni di Sicilia (2019) di una Stefania Auci sino a pochi anni fa pressoché ignota. Successo e fama replicato con il seguito L’inverno dei leoni del 2021.
Continua sul Gallo stampato… e nel seguito:
- Non solo la tonnara
- Un luogo sacro
- Genova a Favignana