Il posto delle fragole

di Luisella Battaglia

Nell’articolo La medicina per la persona (Il gallo, giugno e luglio/agosto) Luisella Battaglia recupera, alla luce della ricerca bioetica, il rapporto tra il medico e il paziente in un ideale patto fondato sul confronto pur asimmetrico tra due umanità, mostrando i limiti di una terapia strumentale qualificata, ma incapace di considerare il corpo come unità. Riprende ora il discorso attraverso l’analisi di uno dei piú celebri film della storia del cinema, Il posto delle fragole (1957) di Igmar Bergman.

 

In una delle scene piú intense ed enigmatiche de Il posto delle fragole, il capolavoro di Ingmar Bergman, il protagonista Isak Borg, un grande medico a fine carriera, sogna di rifare l’esame di stato per l’abilitazione alla professione. Gli viene chiesto qual è il primo dovere del medico, ma lui non sa rispondere. Eppure, insistono i commissari, è semplice: «il primo dovere del medico è chiedere perdono».

La medicina come rapporto

Mi sono da sempre interrogata su questa risposta ricchissima di suggestioni di cui coglievo, insieme, il mistero e la profondità. Che cosa intendeva dire Bergman? E a quali riflessioni può introdurci oggi questa risposta che, al di là della vicenda umana del protagonista, apre a interrogativi sulla natura stessa della professione medica? Certo, il tema del perdono è profondamente intrecciato alla storia personale di Isak Borg, ma quel dovere assume una risonanza speciale per il suo essere medico e anticipa profeticamente molte delle questioni che agitano il dibattito contemporaneo.
La nascita della bioetica negli anni settanta ha posto, infatti, al centro della discussione il grande tema della crisi della medicina occidentale del nostro secolo, una medicina che punta sempre piú sulla tecnologia, sulla perfezione della diagnosi e sempre meno sul rapporto tra medico e paziente. Siamo in presenza di un sistema che non attribuisce piú una valenza positiva al tempo trascorso con il paziente, tempo che, al contrario, viene associato al concetto di perdita invece di essere considerato un investimento e valutato come una parte importante della stessa terapia.
Per studiare questo fenomeno può essere utile partire da una sia pur sommaria riflessione sulla natura stessa della medicina, una riflessione, appunto, a cui il film ci invita, ricordandoci che, prima di essere un sapere, la medicina è innanzitutto un rapporto che si instaura tra due persone: colui che cura e colui che è curato. Originariamente la medicina è dunque un dialogo, una reciprocità che non può stabilirsi che nel colloquio singolare della relazione tra due soggetti. Il medico e filosofo Georges Canguilhem sottolinea lungamente nelle sue opere il significato e l’importanza di tale «singolarità».
Il colloquio è singolare – scrive – proprio perché individualizzato, tale da ricominciare ogni volta e quindi non classificabile in quanto relazione tra due individui assolutamente unici1.

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1 G. Canguilhem, Il normale e il patologico, Einaudi 1998.

Continua sul Gallo stampato… e nel seguito:

  • Un approccio riduzionistico
  • Un sogno inquietante
  • Chiedere perdono
  • Il medico e il ricercatore
  • L’uomo e il medico