La parola nell’anno – giugno

XI domenica del tempo ordinario A
I GIGLI E GLI UCCELLI (Matteo 6, 24-34)
di Luigi Berzano

«Guardate gli uccelli del cielo … osservate come crescono i gigli nei campi…» (Matteo 6, 24 ss). Questa pagina evangelica è l’altissima povertà di Francesco d’Assisi: non possedere nulla, usare tutto. Per i cristiani di ogni tempo è lo stile di vita del giovane rabbi della Galilea, Gesú. Cosí è la vita secondo la rivoluzione commovente e radicale del Vangelo. Gli uccelli del cielo volano per tutto il cielo, perché non lo posseggono. Volano ovunque. Non posseggono nulla. Ma usano tutto. I gigli del campo incantano per il candore e il profumo della corolla. Nessuno li ha coltivati. Nessuno può dire «Sono miei» e impossessarsi del loro profumo. È la grande esperienza che vive chi trascorre una giornata intera a camminare per le minime valli boschive dei nostri territori non possedendo nulla, ma usando tutto. I capitoli 5, 6, 7 del vangelo di Matteo – indicati come il discorso della montagna – sono come un vangelo minimo che comprende il tutto e rappresenta la grande liberazione a fronte del mondo dove il possesso è la regola di tutto e la misura di ogni cosa.
La Chiesa cristiana e le sue comunità non hanno sempre la libertà degli uccelli e il profumo dei gigli. Possiedono molto, ma usano poco il creato. Appaiono piú come un recinto, con molti proprietari e pochi che godono delle cose. Anche nelle ricchezze attorno all’altare non c’è la libertà degli uccelli del cielo o il profumo dei gigli. Oggi, nei templi, troviamo poca pietra grezza e non tagliata, e tanta ricchezza, sfarzo, interessi privati che profanano l’altare. Metteva in guardia l’Antico Testamento:

Farai per me un altare di terra [...] Se tu mi fai un altare di pietra, non lo costruirai con pietra tagliata, perché alzando la tua lama su di essa, tu la renderesti profana» (Esodo 20, 24-25).

L’usare le cose, anziché il possederle è il grande tesoro che propone il messaggio evangelico. Gesú lo diceva con una parola che appare come una massima della sapienza popolare: «Dove è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore» (Luca 12, 34). C’è un legame stretto tra il tesoro e il cuore. Nessuna cosa è tesoro, se il cuore non lo riconosce come tale. E nulla è cuore, se non è ricercato come un tesoro. La pace c’è solo quando il tesoro e il cuore sono al loro posto. È il cuore che abita là dov’è il tesoro. Non è il cuore con le sue emozioni, interessi, turbamenti, voglia di morte e tutto ciò che vi ribolle dentro, a definire il tesoro. Il tesoro non è una produzione del cuore e dei desideri che lo abitano. Se cosí fosse, il tesoro cambierebbe a seconda del cuore: la grande ricchezza lo sarebbe per il ricco, la sopraffazione sugli altri per il violento, e cosí via per infiniti altri falsi tesori. Quando il cuore viene prima del tesoro, è il tesoro a essere in balía delle emozioni, dei risentimenti, delle paure del cuore.
Il tesoro è l’essere vivi: senza di esso, non c’è nemmeno il cuore che palpita. Dove è la vita, là batte il cuore. Chi lo comprende è libero dalla tirannia del cuore. Il cuore piccolo e meschino crea tesori piccoli e meschini.
L’altissima povertà di Francesco è stata la sua vita, le albe e i tramonti, gli eremi e le selve, le creature del bosco, le scoperte della natura, il silenzio e la compagnia, la scrittura del Cantico delle creature, la richiesta di un aiuto, la ricerca del divino. Il tesoro di Francesco è stato anche la ricerca del tesoro, il volerlo trovare, il desiderarlo, il pregare per raggiungerlo.

 

Santi Pietro e Paolo
PLURALE ED ECUMENICA (Atti 12, 1-11)
di Giancarla Codrignani

La Chiesa dedica una festa solenne alla memoria degli apostoli fondatori Pietro e Paolo, nati quando esisteva la «Chiesa/Popolo di Dio», non la Chiesa/istituzione.
La storia con la maiuscola si sviluppa secondo le dinamiche che dipendono dalle scelte umane: Gesú voleva che la sua comunità non avesse superiori e inferiori, che nessuno si chiamasse maestro, che il principio unitivo fosse la cordialità nelle relazioni e i diritti fossero umani e non proprietari. Se, poi, la comunità si allarga, diventa città, paesi, mira a dare universalità alla propria dottrina, non può esimersi dal costruire un’organizzazione responsabile del mandato che deve essere trasmesso.
Il principio resta: il discepolato sa trovare non un sostituto, ma un rappresentante di quello che era stato il Gesú terreno, mantenendo lo stile di vita e la sintonia con il Maestro. Persone come noi, gli apostoli erano rimasti tappati in casa per paura delle retate dei giudei e dei romani e avevano perduto il primato dell’incontro con il Risorto, quando il mandato dell’annuncio fu consegnato a Maddalena.
Il piú rappresentativo era certamente Pietro che, quando fu arrestato, era ritenuto cosí pericoloso da essere «consegnato in custodia a quattro picchetti di quattro soldati» e, in cella, «piantonato da due soldati, legato con due catene». Sfuggito al processo miracolosamente, ricominciò a predicare il Vangelo e fu ancora arrestato per finire a Roma dove subí il martirio: sulla croce, rovesciata per sua richiesta. Agostino ricorda che Simone ricevette il nome di Pietro (roccia) quando riconobbe in Gesú il figlio del Dio vivente e spiega «Pietro deriva da pietra, non pietra da Pietro» per farne la pietra angolare della Chiesa, fondata sugli apostoli scelti da Gesú come Pietro «per impersonare in tutti i luoghi l’intera Chiesa»; per questo ricevette le chiavi del regno dei cieli, «ricevute non da un uomo solo, ma dall’intera Chiesa». Papa Francesco fa di tutto per essere successore di quella Chiesa, gerarchica per necessità organizzativa, rappresentante di un’umanità che segue faticando il messaggio.
Ancora Pietro nella sua prima Lettera (2, 4-6) interpreta il passo della Scrittura:

Ecco, io pongo in Sion una pietra d’angolo, scelta, preziosa, e chi crede in essa non resterà deluso.

E ricorda agli amici:

avvicinandovi al Signore, pietra viva, rifiutata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio, quali pietre vive siete costruiti anche voi come edificio spirituale, per un sacerdozio santo e per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, mediante Gesú Cristo.

Anche Paolo si compiace dei credenti e li fa stirpe eletta, sacerdozio regale a differenza di chi non obbedisce alla Parola e inciampa. Ma chi è stato chiamato Pietro – forse anche perché quel che sappiamo di lui lo rappresenta tosto nell’impegno – è quello che ha rinnegato Gesú per paura e ne porta il rimorso: governa la Chiesa sapendo che anche un discepolo può disobbedire al Vangelo senza che gli sia negata la salvezza.
E Paolo sul mistero della salute ha espresso molta dottrina che ha alimentato la base della costruzione che è cresciuta e ha istituito il cristianesimo nei secoli. Le costruzioni sono umane e, anche quando sembrano stabili, sono soggette alla sismica che produce crepe senza minare la stabilità. La chiesa cristiana è plurale ed ecumenica, le distinzioni non possono fare inimicizia nemmeno quando altre storie hanno visto popoli interi nominare Dio in altre lingue e culture: Paolo e Pietro restano la pietra vivente. Non sono soli, se Pietro ha consolato Gesú quando, in un momento di solitudine – aveva parlato nella sinagoga di Cafarnao suscitando sconcerto anche tra i suoi tanti discepoli, molti dei quali, da quel momento, decidono di non seguirlo piú – chiese: «Volete andarvene anche voi?» e Pietro rispose:

Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio (Gv 6, 67-68).