La parola nell’anno – novembre dicembre

prima domenica di avvento C
SOVRABBONDARE NELL’AMORE (Ger 33, 14-16. 1 Tes 3, 12-4, 2. Lc 21, 25-28.34-36)
di Giancarla Codrignani

Torniamo a celebrare il tempo dell’Avvento, la venuta del Salvatore, il bambino che ignora l’attesa messianica del Cristo. Per ora solo la sua mamma sente il piccolo crescere di peso nel suo grembo, il germoglio dell’eredità biblica piú celebrata, la discendenza di Davide, secondo la profezia di Geremia: il Signore affida a quel germoglio la sua giustizia per la salvezza degli uomini e la pacificazione di Israele: Gerusalemme si chiamerà Giustizia di Dio. Infatti il Signore è buono, anche se gli uomini lo hanno cosí tanto tradito e deluso che il passato è pieno di stragi, di rovine, di schiavitú: esecrazione e condanna non stancano il perdono del Dio degli eserciti nell’eterna storia della speranza nel mondo in continua conversione.
La composizione dei passi liturgici è sempre coerente a un discernimento consapevole e chi assiste deve farsi partecipe dell’itinerario di verità destinato a culminare nel Vangelo. Oggi le parole del maestro sono sconcertanti, sembra che riprenda il Geremia delle devastazioni babilonesi.
Luca, nei versetti precedenti a quelli proposti oggi, racconta Gesú appena uscito dal tempio, dove l’ha emozionato l’incontro con la vedova povera che ha dato con cuore puro due monetine, tutto quello che aveva, all’offerta rituale, mentre i ricchi, con le loro offerte, frutto del superfluo, gettate nel tesoro del tempio con arroganza lo hanno irritato. Inoltre le chiacchiere dei praticanti in ammirazione del tempio appena restaurato da un investimento dei sacerdoti fanno esplodere Gesú. La vanità della cura per le esteriorità offende le miserie umane perché trascura di porvi prima rimedio e Gesú profetizza: sciagure e distruzioni si rovesceranno sull’umanità corrotta, che non custodisce il mondo che Dio le ha dato e lo contamina con la corruzione, il vizio, il lusso. Ricontestualizzando, sono parole per oggi.
È in qualche modo l’annuncio della seconda distruzione del tempio che avverrà entro pochi anni, quando i romani distruggeranno la resilienza ebraica con la violenza della guerra. Se, però, si crede che, comunque, per chi la vuole e cerca di affrettarla «la liberazione è vicina», bisogna esserne all’altezza.
Non è continuando ad adeguarsi al sistema, accettandone i condizionamenti a danno della giustizia, lasciandoci corrompere dal quieto vivere, dal consumismo, dall’indifferenza che saremo liberi e degni di perdono. Paolo chiede a tutti di «sovrabbondare nell’amore tra noi e verso tutti» dal momento che conosciamo «le regole di vita» e la tensione verso «la santità» che ci sono state date per vivere bene, in condivisione con gli altri e capaci di perdono.
I nostri giorni sono cosí travagliati da guerre tornate alle vendette, alle stragi, alle distruzioni di case uguali alle nostre, ad armi create per fare sempre piú male al nemico, mentre impoveriamo i già impoveriti, diventati incapaci di fare l’unica guerra giusta alle conseguenze del disordine climatico.
Francesco ricorda spesso la responsabilità delle grandi e talora drammatiche «crisi che minacciano il futuro dell’umanità [...] aiutando la società a sconfiggere la cultura della violenza e dell’indifferenza». Per curarci dai mali a cui assistiamo almeno un modo è alla portata di tutti: «l’amore politico, che non si accontenta di curare gli effetti, ma cerca di affrontare le cause».

 

Natale del Signore – messa della notte
ANGELI CHE NON ABBIANO PAURA (Is 9, 1-6; Sal 95; Tt 2, 11-14; Lc 2, 1-14)
di Domenico Cambareri

Corre l’anno 2016 e gli artisti Guè e Marracash lanciano il loro album Santeria. È vero, questi rapper di casa nostra sembrano poco adattarsi a un commento delle letture liturgiche, ma ne siamo cosí sicuri? Possiamo ascoltare un brano molto intenso: Nulla accade e leggerlo in sinossi con gli eventi che commemoriamo in questa notte nella quale si afferma che tanto cominciò invece ad accadere. Che cosa inizia con questa notte? La salvezza offerta da Dio alle donne e agli uomini, una salvezza che impareremo a riconoscere in un volto preciso: Gesú di Nazareth. La salvezza parlerà, tacerà, toccherà, berrà, mangerà, piangerà… tutto ciò che né una dottrina, né una ascesi potranno mai fare.

Tutti i giorni / Nella city / Vivi e muori / Nella city / C’è uno schema / Che ti butta giú / Non c’è Chiesa / Che ci salvi piú.

Questo il ritornello che cantano i due autori, amatissimi dai giovani. Nelle nostre città non c’è piú salvezza e i ragazzi lo percepiscono tantissimo; si avverte come uno schema, un disegno superiore, disumano e inflessibile che butta giú la vita di tante, troppe persone. E la Chiesa latita, non c’è piú bisogno di lei e dei suoi inni, salmi e cantici spirituali.
Appare triste riconoscere questa triste realtà, contarne le vittime e non desiderare una salvezza. L’ingiustizia richiede giustizia. E se non sarà piú la Chiesa a tenere in vita un sussulto di speranza chi lo farà? Torniamo cosí alle ariose, meglio, luminose letture di questa notte; è Gesú Cristo la salvezza che palpita tra le gioie moltiplicate di Isaia, del salmo, della lettera a Tito e, soprattutto, nel vangelo secondo Luca. È tempo di ammettere che probabilmente è la Chiesa stessa che, prima dell’intera umanità a cui vorrebbe rivolgersi, dovrebbe porsi la questione di accogliere il Signore che viene come salvezza per sé e che prepara uno spazio – quello ecclesiale – non tossico, ma generosamente vitale nel ricevere e dare esistenza.
Tra i pastorelli visitati dagli angeli nella loro ferale condizione mi piace vedere, tra gli altri disgraziati di questa terra, i ragazzi degli istituti penali per i minorenni (IPM); a loro che ascoltano Guè e Marracash, a loro messi ai margini delle nostre city (anche Cristo morí fuori da Gerusalemme) auguro angeli che non abbiano paura di loro e, soprattutto, siano in grado di suscitare un desiderio di salvezza autentico.