L’attimo fuggente
di Ombretta Arvigo
A Maria Pia
Vermont, 1959. L’arrivo del professor Keating (Robin Williams) introduce un nuovo modello educativo nel collegio Welton: incoraggia gli studenti a guardare la realtà con occhi propri, da angolazioni diverse e soprattutto apre, e talvolta sconvolge, le loro menti.
Il pensiero critico. L’originalità didattica del giovane docente costituisce un immediato stimolo per le vivaci menti dei suoi alunni che si lasciano plasmare con gioia a una educazione mirata alla formazione di un pensiero critico. Ognuno di loro è incoraggiato a trovare la propria via, il proprio passo (in senso non solo metaforico), il proprio punto di vista, cambiando consapevolmente angolazione per distinguersi dal gregge. Un messaggio particolarmente innovativo all’interno di un college del New England degli anni sessanta, e forse anche di oggi, in cui tramandare i valori della tradizione e dell’adeguatezza, se non omologazione, a canoni sociali e familiari sembra essere un obiettivo imprescindibile. Soprattutto il professor Keating educa i suoi studenti a cogliere l’attimo fuggente, alla consapevolezza che nella brevità della vita c’è la sfida a esprimere ciò che si è, nel breve tempo che si ha a disposizione.
La responsabilità. Un messaggio, quello del professore, che affascina gli studenti e li entusiasma fino al punto di portarli a una trasgressione rischiosa, non solo per la loro carriera scolastica, ma per la loro incolumità fisica. Uno fra tutti rimane vittima dello scontro tra l’euforia della scoperta di una propria inclinazione verso l’arte e la grevità delle imposizioni familiari da cui non sa affrancarsi, ma alle quali non vuole e non può soggiacere. Gli assoluti dati dalla gioventú non gli consentono di vedere soluzioni di compromesso o moderazione e lo inducono drammaticamente al gesto estremo. Il monito che scaturisce da questo gesto si rivolge a entrambe le figure: allo studente, proponendo uno sprone ad applicare il pensiero critico anche ai maestri e ai loro insegnamenti, mantenendo cosí una rotta personale che prescinda dalla fascinazione del momento; all’insegnante, fornendo un richiamo alla responsabilità e all’analisi delle conseguenze che il veicolare alcuni contenuti può avere, non già per censurarli, ma per proporli in modo che possano essere recepiti senza diventar distruttivi.
Educazione nel senso etimologico. L’aspetto che forse colpisce maggiormente del film è proprio il saper ricondurre il termine educazione alla sua etimologia, ovvero: «Aiutare a mettere in atto, a svolgere le buone inclinazioni dell’animo e le potenze della mente». Questo è lo sforzo del professor Keating che, oltre a cercare di fare acquisire informazioni e conoscenza ai suoi studenti, compito imprescindibile della scuola e dello studio, si sforza di fare esprimere, di portare fuori – e-ducere secondo l’etimologia – le loro potenzialità. Prima che sia fuggito il loro attimo.
Un film sulla rottura dei canoni troppo canonico. Il film, grande successo pluripremiato (Premio Oscar 1990 per la miglior sceneggiatura a Tom Schulman, Nastro d’argento come miglior film straniero, per citarne alcuni), ha lasciato un segno nell’immaginario collettivo sul tema della pedagogia e della scolarizzazione. Sviluppato con un linguaggio classico, ben sceneggiato, ben girato, bene interpretato è certamente un film apprezzabile che rasenta però il retorico, arrivando quasi a un ossimoro: propugnare la bellezza del pensiero critico rimanendo prigionieri di un canone narrativo. Perché allora ricordarlo dopo molti anni? Intanto proprio per il segno inossidabile che ha lasciato, piú forte proprio a inizio stagione scolastica, quando il tema dell’approccio all’insegnamento si fa piú attuale, ma soprattutto perché ha la capacità di farci pensare alle persone, siano esse insegnanti, genitori o amici, che ci hanno aiutato a provare a esprimere una qualche nostra, anche piccola, potenzialità.
L’attimo Fuggente, regia di Peter Weir, U.S.A. 1989, durata 129’, colore.