Libri e contagi
di Davide Puccini
Il giorno stesso della riapertura, dopo la fine della fase piú grave dell’epidemia, sono andato alla biblioteca comunale della mia città per consultare un vocabolario in piú volumi, il Grande dizionario italiano dell’uso (in sigla GRADIT) di Tullio De Mauro, che non posseggo personalmente. Mi sono sentito rispondere dal gentile bibliotecario, un po’ imbarazzato, che non poteva consentirmi la consultazione perché poi avrebbe dovuto mettere l’opera in quarantena. Sono rimasto di sasso. Mi ero appena disinfettato le mani e indossavo la mascherina: come potevo contagiare un libro? Mi ha risposto che gli esperti non avevano ancora accertato in modo definitivo per quanti giorni il virus poteva sopravvivere sulla carta, ma che per sicurezza la quarantena durava dieci giorni. E allora perché mai sono state riaperte le biblioteche, se non si possono consultare i libri? Solo per il prestito: e, una volta restituiti, i libri vanno naturalmente messi in quarantena. Abbiamo poi risolto il problema all’italiana: dal momento che ero l’unico utente e non aveva nulla da fare, ha preso lui il volume che mi serviva, indossando i guanti, e l’ha aperto alla pagina dove si trovava la parola da me indicata, sicché ho potuto consultarlo senza toccarlo. Ora, questa situazione riguarda tutte le biblioteche italiane, comprese le piú grandi, e nel momento in cui scrivo (5 agosto) non è ancora cambiata. Anche alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze l’accesso alle sale di consultazione, dove non esistono davvero problemi di affollamento, è consentito con il contagocce. Sembra una questione di poco conto; eppure ci sono molti studiosi che in quelle sale sono abituati a trascorrere proficuamente parecchie ore, e non per passatempo, ma per portare a temine nel modo migliore il loro lavoro. Si dirà che il virus è insidioso e ci vuole prudenza, ma la stessa prudenza non è messa in atto in altri settori. Sarebbe perfino troppo facile parlare del pienone di bar e ristoranti, dove il distanziamento non è rispettato e quasi nessuno porta la mascherina, o della cosiddetta movida spesso assurta all’onore delle cronache. Ma si tratta di fenomeni che, per quanto frequenti, non sono certo lodevoli e avvengono in disprezzo delle regole, sebbene fosse prevedibile che la riapertura di locali di un certo tipo avrebbe portato a queste conseguenze.
Restiamo pure nel campo del libro. Le librerie sono state fra i primi esercizi commerciali a riaprire. Ebbene, quando si entra in libreria ci si disinfetta le mani, si mette la mascherina, e poi si possono toccare tutti i libri che si vogliono. I libri delle librerie sono indenni dal contagio e quelli delle biblioteche no? Forse mi sfugge qualcosa, e dovrei chiedere al comitato tecnico-scientifico. Ma c’è di peggio. Sono ripresi anche i mercatini rionali o periodici dove si trovano varie bancarelle colme di libri. Per me è sempre stato un piacere frugare nel mucchio nella speranza di pescare qualche rarità ormai introvabile. E con il virus come la mettiamo?
La triste verità è che nelle biblioteche non corrono soldi (o corrono solo gli stipendi dei bibliotecari, che però arrivano lo stesso): le biblioteche non incidono sul PIL e dunque, per la logica finanziaria che ci governa, non sono produttive. La triste verità è che nel nostro paese la cultura non interessa a nessuno, nemmeno a chi dovrebbe occuparsene per carica istituzionale, come il ministro competente. Piú in generale, si può aggiungere che regole assurde o eccessive finiscono per essere un invito al mancato rispetto delle regole anche nei casi in cui sono opportune se non necessarie. Inoltre, si impongono regole minuziose dove è facile farle controllare e non danneggiano nessuno che abbia peso economico o mediatico tale da farsi ascoltare in modo autorevole se non prepotente, e negli altri casi si lascia che le cose vadano per la loro china. Se il contagio in questo momento in Italia non è diffuso in modo preoccupante, dispiace dirlo, non è certo grazie al rispetto delle regole.