Migranti: consapevolezza e responsabilità

di Dario Beruto

Il padre Alex Zanotelli che conosce, per averci vissuto a lungo, la situazione dei Paesi del continente africano, ha lanciato all’inizio dello scorso luglio, un vibrante appello ai giornalisti dal titolo Rompiamo il silenzio sull’Africa. Nell’appello vengono citate testimonianze dello stato di miseria e povertà di gran parte degli abitanti del continente subsahariano: le lotte tra fazioni opposte che si contendono il vuoto di potere lasciato nel periodo post-coloniale, il protrarsi di azioni volte a depauperare le risorse dei territori africani da parte dei Paesi ricchi, compresa la Cina, lo sfruttamento dei minori, i bambini soldato, l’inadeguatezza nel fronteggiare i disastri ambientali e tante altre belle, anzi bruttissime, cose. Dobbiamo riconoscere la sproporzione, nell’informazione che circola dalle nostre parti, fra quella sui danni che i migranti procurerebbero alle nostre società e quella sulla situazione dei paesi di provenienza, africani e non. L’appello del padre Zanotelli richiama appunto al dovere dell’informazione.
La sproporzione è dovuta in parte alla difficoltà culturale per molti di affrontare problemi complessi; in parte al rifiuto, piú o meno consapevole, di interrogarsi sulle responsabilità occidentali all’origine di quei problemi; in parte al facile successo della denuncia di un fenomeno che indubbiamente crea problemi, come appunto la presenza, non sempre equilibrata e regolata, di molti individui di cultura diversa, tanto piú se questi problemi vengono ingigantiti nella speranza che facilitino la conquista del potere. Comunque resta certo che affrontiamo il fenomeno emigrazione senza una adeguata conoscenza della sua complessità e delle sofferenze che comporta e anche preoccupati che possa in qualche modo minare la nostra sicurezza e il nostro livello di vita. Dovremmo piuttosto preoccuparci, ascoltando l’appello di Massimo Cacciari (la Repubblica, 3 agosto 2018), perché «l’ossessione per il problema dei migranti, ingigantito oltre ogni limite, gestito con inaccettabile disumanità, acuisce in modi drammatici una crisi dell’Unione europea che potrebbe essere senza ritorno», con i danni economici e politici che possiamo immaginare.

Si vedano sul Gallo stampato i contenuti dei paragrafi:

  • Una perdita di memoria
  • Una piccola testimonianza al lavoro

Smitizzare alcuni si dice….

Si dice che migranti e rifugiati si dirigono verso i paesi piú ricchi, ma cinque anni di guerra in Siria, che hanno causato 6 milioni di rifugiati, suggeriscono il contrario. Solo il 15% si trova in Europa, il 13% è in Giordania, il 25 % è in Libano e il 47% è in Turchia, un paese ove gli ultimi eventi non sembrano proprio confermare la sua vocazione europea. In Somalia, dopo venti anni di guerra, ci sono stati 3 milioni di profughi. 250 mila sono in Etiopia, 500 mila in Kenia, 240 mila nello Yemen dove esiste il campo profughi piú grande del mondo. Questi dati certamente non sono esaustivi, ma dovrebbero suggerire a Italia, Francia, Spagna, Germania e agli altri paesi della UE che gli emigrati, se possono, preferiscono andare verso i paesi limitrofi piú simili ai paesi di provenienza. Molti degli emigrati che arrivano nelle nostre società opulente ben presto scoprono che nella terra promessa non ci sono solo latte e miele, ma anche fiele e tanta ingiustizia. Religiosi e laici attivi in Africa sono del parere che, se ai giovani che sognano di migrare per diventare famosi e ricchi calciatori, si offrono istruzione e lavoro, scelgono di restare nella loro patria.
Si dice che, se i paesi poveri avessero una elevata crescita economica, l’emigrazione diminuirebbe; ma questa affermazione è contraddetta dai dati relativi a paesi come il Messico, la Cina e le Filippine. In tali paesi crescita economica ed emigrazione aumentano simultaneamente, anziché avere una tendenza opposta. Studi sulla correlazione tra crescita economica ed emigrazione nei paesi poveri, dimostrano che, sino a quando il reddito individuale annuo non supera i 15mila dollari, la crescita economica produce un aumento di migrazione.
Si dice «aiutiamoli a casa loro», ma, come ha elencato Alex Zanotelli, i problemi in Africa sono molteplici ed enormi, nondimeno sono grandi quelli che interessano le altre aree del Sud-America e Sud-Est asiatico da cui i migranti partono. Che cosa significa in pratica la frase aiutiamoli a casa loro? Forse è uno slogan per giustificare il disinteresse piuttosto che espressione di una volontà di affrontare un problema di enorme complessità.
Si dice che certe iniziative di respingimento, insieme a qualche aiuto, assicurano la riduzione degli arrivi, ma quali azioni si dovrebbero fare nei confronti dei Paesi da dove i migranti partono o da cui transitano? Come evitare che gli aiuti siano utilizzati e gestiti per aumentare sicurezza e trattamenti adeguati ai poveri provati dall’attraversamento del deserto con un numero di vittime forse superiore a quelli dei morti in mare? Come evitare che gli aiuti non finiscano per aumentare la corruzione in paesi dove il malaffare è merce comune e il potere politico traballante? Dal breve video della Caritas-GREM, si evince che, senza se e senza ma, i flussi migratori non si possono fermare, perché la mobilità, il muoversi da una zona all’altra del pianeta è un diritto universale per ogni uomo.

 

e del paragrafo:

  • Liberi di migrare, liberi di restare