Oltre il referendum
di Ugo Basso
Dalla scorsa primavera, da quando il presidente del consiglio ha avviato la campagna molti mesi prima che del referendum istituzionale fossero noti il quesito e la data, mi chiedo se parlarne e come su queste pagine. Il dibattito in tutte le sedi è talmente ampio e articolato, ora serio e competente, ora urlato e aggressivo, che non potremmo aggiungere molto, per chi abbia intenzione di informarsi, mentre vorrei evitare di trascinare anche il nostro Gallo nel tifo da stadio che lacera il paese. Ci siamo pertanto limitati all’intervento dell’amico Carlo Ferraris sullo specifico del rapporto fra potere centrale e amministrazioni territoriali (Dalla tendenza federalista al centralismo amministrativo, Il gallo, settembre 2016).
All’avvicinarsi della fatale data – inconsueta in un paese con le condizioni climatiche del nostro – vorrei comunque aggiungere qualche nota di riflessione. Personalmente sono convinto che la costituzione possa e debba essere aggiornata secondo le trasformazioni della società e per rimediare inefficienze emerse nella prassi degli anni, ma soprattutto, debba essere applicata anche negli articoli programmatici (1 – 11) che in apertura ne definiscono il carattere. E sono convinto che la legge elettorale – non costituzionale, ma indubbiamente strettamente connessa alla riforma – debba essere pensata perché interpreti al meglio la sovranità dei cittadini e non per rispondere alle speranze di successo di chi la propone. Ho studiato, ne ho discusso, ho immaginato, e continuo a farlo, le conseguenze dell’uno e dell’altro risultato e mi sono fatto le mie convinzioni in linea con quelli che considero, dentro e fuori la chiesa, i miei maestri. Non costanti, invece, le sintonie con gli amici, neppure fra i galli e i lettori. Abbiamo sempre sostenuto che la varietà di pensiero è una ricchezza e non lo neghiamo neppure quando capita tra noi. Aggiungo però un’altra considerazione sulla condizione necessaria perché la differenza sia e sia percepita come ricchezza: nessuno dovrebbe convincersi di possedere la parola ultima e tutti dovrebbero al contrario convincersi che anche la posizione opposta ha qualcosa da insegnare. Discorsi abbastanza facili nel ragionare o almeno in assenza di un oggetto immediato e molto piú difficili quando si vivono di fronte a una scelta precisa sostenuta con passione e motivato assenso. Eppure questa convinzione, e i comportamenti che ne seguono, devono essere veri in queste circostanze, magari anche accettando delusioni e amarezze.
Non sto auspicando un’embrassons nous superficiale o che non consideri le differenze, ma la determinazione alla reciproca comprensione deve comportare un altro impegno: a bocce ferme, a risultati conosciuti, chi ha vinto e chi ha perso dovrebbe riconoscere sia i limiti della propria posizione, pur se maggioritaria, sia le ragioni della minoranza che, considerando il peso delle astensioni, potrebbe anche non essere minoranza nel paese e comunque è costituita da cittadini sempre e non solo in occasione delle consultazioni popolari. Se le astensioni dovessero confermarsi sul 50% e la maggioranza non superasse di molto la metà dei votanti, i non favorevoli sarebbero circa tre quarti del paese: per una cosí ampia riforma della legge fondamentale non sarebbe una buona partenza. E non si può ignorare che il referendum sottopone all’elettore un pacchetto di modifiche molto varie: se io potessi votare, come si dice in politichese, spacchettando, voterei per alcune modifiche a favore, per altre contro e questo forse sarà per molti.
Nella contingenza, in particolare l’atteggiamento critico, da anteporre allo sventolio delle bandiere, dovrà tenere conto che il paese si troverà in una situazione comunque lacerata e delicata e che entrambe le posizioni comportano pericoli. Auspico – ma è un sogno – che nel caso della vittoria del SI i vincitori si impegnino a dimostrare che lo spostamento dell’asse politico dal parlamento al governo non significa accentramento del potere e nel caso della vittoria del NO i vincitori si impegnino davvero con un dibattito ampio, ma in tempi ragionevoli, a proporre le riforme comunque opportune. Un’ultima nota: non sarebbe auspicabile un impegno di tutti ad applicare quanto della costituzione è sempre rimasto nella carta? E altrettanto a frenare la deriva verso un liberismo sfrenato che da decenni ormai sta deteriorando la qualità della vita del paese? Resta comunque il sogno che tiene a galla il guscio di noce nel mare torbido delle corazzate.