Pacem in terris: profezia e artigianato della pace

di Nicla Buonasorte

Nelle agende di papa Giovanni XXIII si legge, alla data del 15 aprile 1963: «La enciclica Pacem in terris acclamata come forse mai». Firmata con la data dell’11 aprile, giovedì Santo, l’enciclica ebbe un’eco che lo stesso pontefice definí, il 15 maggio successivo, «poderosa, compatta e unanime da ogni parte della terra».
Era l’ultima enciclica di Giovanni XXIII, che consegnò cosí al concilio, che aveva voluto e costruito, una eredità non del tutto compresa. Il papa morirà dopo meno di due mesi.

Messaggio dirompente

Non era, quello di Roncalli, un messaggio utopistico destinato alla nutrita biblioteca degli appelli e delle buone intenzioni, oltretutto inattaccabile grazie ai suoi presupposti evangelici. L’enciclica vedeva la luce in un momento in cui – come avviene oggi – le lancette dello scontro diretto tra le potenze atomiche si avvicinavano a quella simbolica mezzanotte che avrebbe avviato l’ultimo conflitto armato tra esseri umani.
Il muro di Berlino non aveva nemmeno due anni. Il focolaio vietnamita non accennava a spegnersi. Pochi mesi prima, nell’ottobre 1962, il blocco navale intorno all’isola di Cuba, posto dagli Stati Uniti mentre si avvicinava la flotta sovietica con le testate nucleari destinate alle rampe missilistiche dell’isola, aveva accompagnato i giorni dell’apertura del concilio Vaticano II, che vedeva riuniti a Roma oltre duemila padri conciliari da ogni parte del globo.

Continua sul Gallo stampato… e nel seguito:

  • Caduta nel vuoto
  • Gli strumenti della pace