Se Natale diventa problema

di Paolo Farinella

Spesso a guardare troppo da vicino si possono prendere abbagli e non vedere la strada oppure gli occhiali dell’abitudine c’impediscono di vedere le differenze o le cose ovvie. Ringrazio l’amico Ugo Basso che su «Notam» mi onora di una riflessione garbata, riflessiva, che, come si evince tra le righe, legittimamente non condivide la mia scelta. Interpretando eventuali reazioni, aggiunge che qualcuno o molti possono considerarla «scelta inopportuna o proprio sbagliata, compiaciuta esibizione, sterile polemica». Poiché questo è possibile, colgo l’occasione per fugare questo timore. Lo posso fare non teoricamente, ma «ex post», o come si suole dire «a babbo morto» e cose fatte e a reazioni registrate.
Dopo la chiusura della chiesa per Natale, festa della Santa Famiglia e Capodanno, ho ripreso a presiedere la celebrazione il giorno dell’Epifania, festa di universalità, quindi spiccatamente «cattolica». La prima reazione che il popolo frequentante San Torpete in Genova ha manifestato in maniera corale, è stata: «ci è mancata l’Eucaristia e abbiamo capito quanto sia importante per noi essere qui». Poiché sapevo che sarebbe andata cosí, non l’avevo detto prima per non condizionare. Ci accorgiamo, infatti, del valore di ciò che abbiamo, solo quando ci manca. Per questo, pedagogicamente, è necessario ogni tanto privarsi anche di momenti importanti per ragioni spirituali. Non dovrebbe essere questo il digiuno cristiano? A pancia piena si dorme, non si pensa; a stomaco vuoto si è costretti a pensare su che cosa fare e come rimediare.

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