Senza una visione originale

di Cesare Sottocorno

L’ultima settimana di ottobre è stata pubblicata la Relazione di Sintesi a conclusione della XVI Assemblea generale del sinodo dei vescovi (4-29 ottobre 2023), con partecipazione anche di donne e di laici, una delle tappe principali del percorso quadriennale sulla sinodalità.
Qualche giorno prima è stata approvata e diffusa la Lettera al popolo di Dio di papa Francesco nella quale si legge che compito della Chiesa è annunciare il Vangelo «non concentrandosi su sé stessa, ma ponendosi al servizio dell’amore infinito con cui Dio ama il mondo» e camminando «a fianco delle donne e degli uomini che in ogni luogo del mondo si adoperano come artigiani di giustizia e di pace». Si ribadisce che non deve mai venir meno il bisogno di ascoltare tutti a cominciare dai piú poveri, da coloro che non hanno diritto di parola nella società o che si sentono esclusi e dalle vittime degli abusi commessi da membri del corpo ecclesiale. Ancora una volta i testi di Francesco muovono speranze che svaniscono quando ci guardiamo in giro nella chiesa del quotidiano.
Nella lettera si riconosce che i momenti di confronto e di dibattito sono stati «un’esperienza senza precedenti». Per la prima volta, infatti, su richiesta di papa Francesco, uomini e donne sono stati invitati, in virtú del loro battesimo, a sedersi allo stesso tavolo per prendere parte non solo alle discussioni, ma anche alle votazioni dell’Assemblea del Sinodo dei vescovi.
Il testo della relazione, che sarà discusso in diverse sedi prima della seconda sessione del sinodo dei vescovi prevista per il mese di ottobre del 2024, sintetizza riflessioni e proposte su tematiche già affrontate nella fase dell’ascolto quali ad esempio il ruolo delle donne e dei laici, il ministero dei vescovi, il sacerdozio e diaconato, l’impegno per i poveri e per i migranti, l’ecumenismo e le problematiche legate agli abusi sessuali, l’attenzione ai nuovi linguaggi. Tutti temi di indiscutibile importanza, ma ampiamente noti e studiati: manca invece una nuova visione adeguata ai rivolgimenti antropologici a cui stiamo assistendo e ai grandi valori della tradizione di cui dice Francesco.
Del nuovo ruolo dei laici e del diverso rapporto con i ministri ordinati si era già parlato nel paragrafo 33 della Lumen Gentium (1964) con modesti rinnovamenti nella prassi:

i laici possono anche essere chiamati in diversi modi a collaborare piú immediatamente con l’apostolato della Gerarchia a somiglianza di quegli uomini e donne che aiutavano l’apostolo Paolo nell’evangelizzazione, faticando molto per il Signore (cfr. Fil 4, 3; Rm 16, 3 ss). Hanno inoltre la capacità per essere assunti dalla gerarchia a esercitare, per un fine spirituale, alcuni uffici ecclesiastici.

Rispetto al ruolo delle donne si riconosce che

costituiscono la maggioranza di coloro che frequentano le chiese e sono spesso le prime missionarie della fede in famiglia,

ma si aggiunge che riguardo all’accesso delle donne al ministero diaconale, «sono state espresse posizioni diverse».
Tale ruolo per alcuni è inaccettabile in quanto «in discontinuità con la Tradizione», per altri, invece, ripristinerebbe una pratica della Chiesa delle origini, per altri ancora sarebbe una risposta appropriata e necessaria ai segni dei tempi.
Si legge che i poveri, gli indigeni, le vittime di violenze, gli anziani abbandonati, le persone con dipendenze e i lavoratori sfruttati devono essere considerati al centro della Chiesa e che occorre ascoltare il grido dei nuovi poveri prodotti dalle guerre e dal terrorismo causati anche da «sistemi politici ed economici corrotti». Si ribadisce, come si è piú volte detto in molte occasioni e in diverse sedi, che

i migranti e i rifugiati devono diventare fonte di rinnovamento e arricchimento per le comunità che li accolgono e un’occasione per stabilire un legame diretto con Chiese geograficamente lontane.

Di un altro argomento controverso, il celibato dei presbiteri, pur apprezzandone «il valore carico di profezia» si dice che il tema non è nuovo e che «richiede di essere ulteriormente ripreso», dimenticando, forse, che questo delicato argomento è stato già ampiamente discusso durante il Sinodo amazzonico e nelle assemblee tedesche. Nuove sono invece le riflessioni sulla cultura digitale anche se è già ampiamente utilizzata e diffusa in ambito ecclesiale e ha dimostrato la sua utilità durante la pandemia, considerata comunque piú nell’aspetto funzionale che in quello antropologico.
Che si parli di questi temi è certo importante, anche se chi ne è interessato ne discute da decenni e un fatto è certo, come è stato osservato da Francesco: il Sinodo ha gettato sassi e mosso le acque dello stagno di una Chiesa poco attiva e fantasiosa. I piú ottimisti affermano che si è aperta qualche porta. Altri, al contrario, non si fanno troppe illusioni, addirittura temendo che le acque ritornino alla quiete inerte e spaventata in cui si è navigato per anni, magari con qualche riforma settoriale che dia modo agli uni di dire che qualcosa è cambiato e non è stato del tutto inutile; agli altri che in fondo non è cambiato nulla e neppure valeva la pena di sprecare tante energie.
Manca l’idea che dovrebbe stare al centro di tutta la macchina sinodale: rispondere in modo credibile e significativo al cambiamento antropologico che l’umanità sta vivendo negli ultimi decenni. Siamo consapevoli che per portare avanti la chiesa senza strappi occorrono lunghe pazienze, ma fino a oggi da tutto questo gigantesco lavoro si sente solo la voce del manzoniano Ferrer al suo cocchiere: adelante, Pedro, si puedes. Pedro, adelante con juicio. Per tornare a essere «sale per la terra» la Chiesa, rimasta indietro di secoli, non può piú essere appagata da dichiarazioni. Il cardinale Martini, nell’intervista rilasciata a Gerusalemme, nel 2007, a Georg Sporschill, il gesuita austriaco che ha dedicato la sua vita agli ultimi della società, consigliava al papa e ai vescovi

di cercare dodici persone fuori dalle righe per i posti direzionali. Uomini che siano vicini ai piú poveri e che siano circondati da giovani e che sperimentino cose nuove e che percorrano un cammino radicale di cambiamento.

Sono passati piú di un decennio, due papi, un indeterminato numero di vescovi, ma siamo ben lontani da ipotesi di questo genere.